Rifletto, si fa per dire, su ciò che un tempo si usava definire il ‘nostro mondo’, l’area di appartenenza. Sempre litigiosa, divisa. Ciò che resta frantumato ulteriormente dalla pandemia. Soprattutto dalla pandemia dello spirito, che ha scavato e roso nelle coscienze, nei modelli di vita, mettendo fine all’idea tutta aristotelica, essere l’uomo un animale socievole. Oggi fra coloro che si danno a Putin e alla società russa capace di preservare sani principi intorno alla famiglia, ad esempio, contro l’americanismo e dintorni; mentre altri vedono nell’esperimento ucraino, nei simboli ed eroismo, ad esempio, del btg. Azov eco e promessa di una avventura europea tanto cara sognata e condivisa nel mito della difesa di Berlino. Esaurisco qui la premessa. Consapevole che le motivazioni degli uni e degli altri sono ben più consistenti e articolate. Però… Rifletto.
È accaduto qualcosa con il 1945 – e non soltanto con la fine di un conflitto. Una mutazione antropologica quasi (i dotti e saccenti ex-mai colleghi, che masticano e digitano di cose alte e nobili, insegnano come ad Atene, tramite i sofisti e Socrate, la filosofia ha virato di bordo e dalla ricerca della ‘phisis’, principio d’ogni cosa quale fondamento, s’è indirizzata a trovare quale asse l’anthropos, consentendo a Platone e Aristotele e ai secoli a venire la costruzione di grandi sistemi onnivori. A masticare contro solo Nietzsche e pochi altri, disperati e fieri) – In una delle usuali passeggiate nei pressi di Fontana di Trevi, l’amico Ugo Franzolin – scrittore, già giornalista e corrispondente di guerra della XMAS – amava ripetere ed era simile a mantra di religiosa efficacia: ‘Crede, veramente, professore che con il nostro anacronistico modello ’91 pensassimo di poter fermare la potenza d’acciaio e di fuoco della V e VIII armate alleate?
È che intuivamo, magari ancora in modo incerto e confuso, come alle loro spalle avanzasse qualcosa che avrebbe spazzato via il nostro mondo, la civiltà con cui per secoli s’era retta l’Europa, il nostro insieme di valori’. E così è stato. Un tempo gli uomini e le idee erano un tutt’uno inscindibile, vi era un nesso per cui le idee vivevano incarnate negli uomini e costoro davano un senso a sé stessi loro tramite. Scrivendo il capitolo dedicato a Goffredo Coppola, ho scoperto come i giornalisti Bruno Spampinato e Giorgio Pini incontrandolo ad un mese di distanza – marzo 1945 ed aprile – rimanessero stupiti dalla serenità con cui affermava loro che se il Fascismo dovesse crollare non gli era dato sopravvivere dato che ad esso aveva donato tutto sé stesso. Con serenità e distacco, pochi giorni dopo, il 28 aprile lungo la spalletta del lago di Como, si colloca insieme agli altri fedelissimi del Duce per essere fucilato.
Se prendiamo atto essere questo nostro mondo, questa area non un bagaglio rigido di idee – sovente fragili convinzioni preda del tempo e delle circostanze – ma uno stile di vita, le differenze i malumori la polemica i rancori i troppi personalismi i pro e i contro altalenanti finiranno nella spazzatura della storia. Uno stile di vita a vincere l’io la finitudine il limite della condizione umana…
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