“Liberi fino alla fine” è lo slogan dei promotori del referendum per l’ abrogazione parziale delle sanzioni penali previste dall’art. 579 c.p. : “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.” Restano le disposizioni relative all’omicidio per i casi 1-2-3 (minori, infermi di mente, estorsione del consenso) elencati nell’articolo stesso. Depenalizzato dunque l’atto di procurata fine vita al richiedente, si spalancherà il cancello all’eutanasia attiva senza più reato, per la passiva c’è già la legge 22 dicembre 2017, n. 219, del testamento biologico, ma la sua interpretazione non esclude l’apertura di procedimenti a carico dei “sicari”, il sì referendario spazzerebbe via, anche per essa, l’ipotesi di eventuali manette .
Cassata la pena e con soggetto maggiorenne lucido e consenziente, la “buona morte”, un tempo Confraternita, la si potrà effettuare senza rischiare processi, chiavistelli, esattamente come per l’aborto, ai sanitari resteranno tre vie, inoculare per endovena il barbiturico letale, oppure preparare la siringa, darla al paziente con “fai da te” (suicidio assistito) oppure rifiutare ambo le opzioni per obiezione di coscienza.
Eufemistica la differenza tra procedura attiva e passiva, un doppio binario condito di termini al glucosio per arrivare, senza ulteriori sofferenze e in fretta, al capolinea della vita, andando indietro nel tempo potremmo definire quello di Socrate un suicidio assistito, quello di Nerone, per mano dello schiavo Epafrodito, un finis vitae attivo.
Il protagonista è la morte, il nulla invocato, con tanto di firma, per dire basta a tormenti inutili del corpo, all’atroce destino di un albero senza gemme da schiudere a primavera, anzi senza più stagioni, divorato da un male sadico, roditore della carne e della mente fino a manomettere il pedale del freno, l’istinto di sopravvivenza, parrebbe, posto così, un progresso civile di libera scelta.
Nel Fedone, Platone fa dire a Socrate: “[…] fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato quello che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità.” Meglio morire allora per liberarsi della gabbia, sciogliere i legacci che imprigionano il pensiero, ma il filosofo parla di anima, corpo e verità, un trinomio caro al suo allievo che disegnerà una dimensione di vita piena e immortale dello spirito non senza però attraversare il giudizio (due aspetti della verità) e sarà gloria, purificazione o pena nell’Ade. Ma l’anima per il positivismo nichilista non esiste, non c’è alcun dualismo, siamo soltanto ciccia, la morte il nulla e non c’è spirito chiamato a rispondere di categorie obsolete, il bene, il male. Dio, il giudice, infatti è morto anzi l’abbiamo ucciso e senza di Lui l’anima non ha più senso. Dato per buono questo laico assunto del personalismo, il vulnus giuridico è cancellare l’offesa di un diritto, il suicidio-omicidio considerato reato e le resistenze d’ogni tipo saranno cassate col grimaldello democratico della maggioranza perché se siamo solo polpa e ossa, lodata sia la fine agognata di un’esistenza senza un presente, un futuro “normali” allora che la dea scienza si dichiari impotente a ripristinali, rendendo vane attesa e speranze, lasciandoti solo nell’inferno del dolore.
Uccisa l’anima, scoria di antiche credenze, “invenzione” del ricatto religioso e morale, si passi al diritto che non contempla tribunali divini ma soltanto terreni, tanto che i progressisti filosofi americani,“Amici della Corte”, non si ponevano problemi nel sostenere una risposta giuridica di piena accoglienza della libera, espressa, volontà d’una “dolce morte” perché afferente alla libertà costituzionale, per il cittadino, di scegliere autonomamente anche se farsi ammazzare o meno quando il suo corpo è in croce, usando la coperta della legge per i sicari.
In prospettiva futura la giurisprudenza potrà allargare le maglie della casistica di criticità, essa si amplierà a dismisura ponendo sempre nuove frontiere alla bioetica laica, pensiamo agli affetti da Alzheimer, alle “sofferenze psichiche intollerabili” delle depressioni, tanto per fare due esempi e in avvenire toccherà anche ai minori, agli infermi, se certificati irreversibili, transumeranno al non esserci con placet genitoriale o di tutori e di parenti. L’Occidente, grasso maiale, scarta il calvario nella vita, se il corpo è strizzato di possibilità di ritorno sulla giostra, godere della ruota panoramica, produrre, consumare, coitare a piacimento, meglio buttarlo all’umido rifiutando sofferenze, privazioni, cunicoli soffocanti perché l’anima (ammazzata) si conquisti il sacro, d’altronde la cultura progressista dei diritti, oramai mainstream di massa, non conosce cieli ma soltanto terra.
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