Ancora da insegnante condivisi per due o tre anni le medesime classi con il professore di matematica Auconi (non ricordo il nome). Era uomo discreto, poco propenso a socializzare con i colleghi, forse burbero con gli alunni più come una sorta di autodifesa che per carattere. Gli chiesi, avendo risposta affermativa, se fosse il figlio del capitano di corvetta Walter Auconi, al comando del sommergibile Cappellini durante la seconda guerra mondiale. Con il grado di ammiraglio egli era ancora vivo, ma a nulla valsero le mie insistenze perché mi consentisse di incontrarlo. Si trincerò dietro l’età avanzata lo stato di salute la memoria ormai labile e dispersa.
Fu irremovibile. Dietro le motivazioni, però, pur legittime, io vi ho visto un disagio la insofferenza l’ombra del dinosauro, per usare la felice espressione che Emanuele mi ha cucito addosso – senza scomodare le volgarità di un Freud intorno alla ‘uccisione del padre’. Non deve essere stato facile crescere in un tempo, per dirla con l’amico Nietzsche, dove è la plebe a dominare, avendo dei genitori che si portavano dentro, negli occhi nel cuore nella mente, visioni di idee uomini accadimenti eroici. Essere dei nani sulle spalle di giganti, lacerati tra eredità e presente in conflitto fra loro. (Quante volte ne parlavo con il comandante Mario Sannucci, già btg. Lupo-XMAS, che aveva perso il braccio destro in azione sul fronte del Senio, il 6 gennaio del ’45. Di suo figlio Corrado, Lotta Continua, giornalista sportivo,‘il bamboccione’ come lo chiamava).
Il Cappellini opera in Oceano Atlantico, presso la base di Betasom a Bordeaux. Siamo nella tarda primavera del ’43, quando insieme ad altri sommergibili italiani danno il via ad un’operazione, folle e disperata. Raggiungere l’alleato giapponese, per oltre diecimila miglia, circumnavigando l’Africa e attraversando l’Oceano Indiano fino al porto di Singapore. Stivare merci come l’alluminio il mercurio gli apparecchi di precisione, di cui i giapponesi hanno assoluto bisogno per contrastare la reazione lesta ed imponente degli USA e rientrare con oppio (da cui deriva la morfina) gomma stagno di cui la Germania e l’Italia sono carenti. Sette i sommergibili e di cui soltanto il Cappellini e il Tonelli riusciranno a portare a termine la missione d’andata. Poi a scontare il dramma e le conseguenze dell’8 settembre della resa e del tradimento e della vergogna a cui si ribellano ufficiali e marinai aderendo idealmente alla RSI e, quando il governo Parri (‘il ruggito del topo’) dichiara guerra al Giappone, arruolati nella marina imperiale nipponica.
E, il 22 agosto del 1945 – durante un bombardamento alleato sul porto e la città di Kobe (ormai i piloti americani sganciano le bombe quasi raso terra, inesistente ogni forma di reazione o quasi) – saranno proprio le mitragliere a bordo del Cappellini ad abbattere un B25 Mitchell in una delle estreme azioni di difesa aerea. La resa il 2 di settembre e la decisione di restare nella terra che avvertono essere divenuta patria. Marinai d’Italia, estremi testimoni di un Onore dismesso e inutile per un paese che si è avviato ad essere il cialtrone in cui viviamo nostro malgrado e che, nostro malgrado, portiamo nel cuore. (Traggo parte di queste notizie dal bel libro di Mario Vattani La via del Sol Levante).
Mentre il comandante Auconi, affondato sulla nave tedesca che lo sta riportando in Europa, dopo giorni in mare con pochi altri naufraghi, viene catturato dagli americani e trasferito ad Hereford, Texas, dove sono ristretti i prigionieri italiani, i non-cooperatori – altro esempio, anch’esso ignorato se non deriso, di quell’Onore di cui si è detto sopra. Ne parlai con il generale della forestale Adriano Angerilli, ad Arezzo, che della sua esperienza in quel campo di prigionia, aveva tratto tesi di laurea all’età di ottanta anni e di cui m’ero adoperato a pubblicare. Storia e storie, pur minimali, ma risposta a quanti, indecenti e servili, si affrettano anche oggi a ‘prendere le distanze’ a stabilire i ‘buoni’ (i fascisti) e i ‘cattivi’ (i feroci nazisti e i musi gialli). Al contrario, in amore come in guerra, si condividono anche i tanti errori e, magari, qualche orrore di troppo…