Sventurato chi non arriva in fondo alla tana del bianconiglio
Non è l’idea di escludere i novax dalle cure del SSN ad essere ripugnante (ancorché per certi versi lo sia) quanto la leggerezza con la quale si accetta nell’orizzonte del pensabile. Siccome riguarda spesso categorie che non ci riguardano, interi gruppi umani che magari detestiamo, non ci impegniamo nemmeno a inseguire il ragionamento nelle sue ragionevoli conclusioni. Se un comportamento individuale, una libera scelta, può rendermi ineleggibile per una cura, come giustificare le cure a chi contrae l’AIDS? Come giustificare le cure per chi è obeso, fumatore? Come giustificare chi sceglie consapevolmente di farsi del male assumendo droghe o quantità di alcol eccessive?
Non c’è via di mezzo: o si ammette la morte del libero arbitrio nelle società complesse, per cui ogni comportamento che riguarda tutti da tutti deve essere controllato, o non si può ragionevolmente nemmeno pensare di escludere i novax dall’SSN – o immaginare di farglielo pagare, che è circa la stessa cosa.
Non curare i novax implica necessariamente la trasformazione della società in una comunità di individui in cui non vige la sovranità biologica, giacché il tema di fondo è che il proprio corpo è una macchina di potenziali problemi per gli altri e pertanto non può essere a completa disposizione.
È terrificante che la gente non si renda conto di queste implicazioni oserei dire logiche, dello scenario che viene aperto, del piano che viene inclinato, nei principi che un certo discorso sottende.
È forte indice di demenza sociale collettiva rappresentarsi la società come una somma di eventualità e di situazioni contingenti. La società non obbedisce e non rimane in forma se non attraverso la realizzazione di precise direzioni: pensare di poterne fare a meno è, ancora una volta, segno dei tempi. Se l’agire politico è propriamente intaccare questi principi (in codesto caso la sovranità collettiva sui corpi) è impolitico, per converso, ritenere che una misura e una legge non rispecchi alcun principio. Ed eritema dell’impolitico è la tribalizzazione, cioè la convinzione che si parli di umanità e di soggetti politici solo quando di parla del mio mondo, che fuori non esista epoca o storia ma solo emozione. Un pensiero politico è un pensiero terribile, ma mai risentito; radicale, ma mai incattivito. Perché sempre riflette, plasma e ha coraggio di discendere nei principi, non nei contingenti, con pavidità, sotto il sole del perenne.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a disastri ancor peggio che politici, di posizione: siamo ai disastri cognitivi. Siamo alla non consequenzialità del pensare. Isterico è quel pensare scollegato, che salta. Il vero spappolamento arrecato dal COVID, oltre che nei confronti del tessuto sociale, è stato nei confronti del tessuto intellettuale collettivo.
Per concludere: non è immaginare scenari formalmente estremi (sovranità collettiva sui singoli corpi) quanto non riuscire neanche a pensarli nella loro profondità a provocare un senso di abisso. Effetto sublime della tribalizzazione, per cui fuori dalla mia tribù, da chi ha ragione non esiste mondo o epoca ma solo emotività.
Immagine: http://caratteriliberi.eu/