Tanto amore

 

Tanto amore

Da alcune settimane anche le pagine di Fb sono inondate dalle sequenze del film So-no tornato, di un Mussolini che riappare nel nostro presente – imitazione cialtrona e da guitti di analoga operazione realizzata di recente in Germania. Facile strappare la risata, la battuta irridente, ma a me sembra come si sia, anche qui, di fronte a inconsapevole o meno atto di una sorta di ‘nostalgia’… senza, va da sé, la forza di quel ‘romanticismo fascista’ che ci appartiene e coinvolge e a cui non intendiamo rinunciare, noi ostinati proscritti contro l’invadenza dell’oggi. Non è di questo, però, che intendo scrivere se non come un qualsiasi possibile esordio. Delle mani del Duce che raccolsero, per un attimo di calore e lo trasformarono in  e-terna memoria, un sentire con il linguaggio del corpo, quelle di una giovane italiana di diciassette anni, Giovanna Deiana, rimasta cieca dal crollo della sua abitazione a Verona sotto uno dei primi bombardamenti dell’aviazione inglese (21 ottobre 1940), mentre si faceva scudo a difesa della sorella e del fratellino. E quell’incontro voluto da Mussolini quale atto di condivisione con le vittime civili di una guerra totale e feroce la marchiarono con il fuoco vivo della Fede. Per sempre e rendendo il suo sacrificio un dono, poca cosa forse nell’incendio immane di uomini contro. E se la fede, si dice, che non possa spostare le montagne, rende però un animo adamantino. Quello di Giovanna, nobile ed alto. L’incontro all’Hotel Ergife, presso il banco delle Ausiliarie, durante l’annuale mostra di oggettistica varia di cose militari. Siede con il basco grigioverde del SAF (il Servizio Ausiliario Femminile, istituito con decreto 18 aprile 1944, nella RSI), i grandi occhiali neri a nascondere le cicatrici con cui le ricucirono le orbite vuote. Nelle mani un libro la raccolta di fotografie di Mussolini a Milano, dicembre 1944, il discorso del Lirico, il suo canto del cigno, per le strade della città ferita dalle bombe, sul carro armato del-la Leonessa. Lo sfoglia. La saluto. Forse intuisce il mio stupore. Mi sorride e aggiunge ‘Sto vedendo queste foto del Duce, sono bellissime’. Con gli occhi del cuore, della luce interiore, mistero profondo e tenace del linguaggio del corpo. Quanto miseri e piccini, penso, si raccolgono i timori e tremori che ci assalgono nella nostra vita quotidiana, in questo presente ove la fanno da padroni troppi ‘indecenti e servili’, e dimentichiamo di farci carico dell’esempio e testimonianza prima di dive-nire noi stessi d’esempio ed essere testimoni. Forse è vero che l’uomo è carnefice e vittima del tempo e delle circostanze… Platone parla di una seconda navigazione, di altro sguardo che consente di comprendere come ‘… vi è un modello fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo e, avendolo visto, ad esso conformarvisi’. In un pomeriggio di primavera accompagnai alcuni miei alunni a trovarla, ad ascolta-re la sua storia, durante un corso monografico sulle prime donne in divisa da portare all’esame di maturità. Breve e tragica esistenza ‘in entusiasmo e umiltà di servizio’ di migliaia di giovani donne, le più esposte e su cui si abbatterà la scure infame del vincitore (?), del branco sulla preda più debole. Penso a Gina, denudata ed esposta per le vie di Vimercate rapata chiusa in cella e il peso bestiale di corpi prepotenti avidi bestiali… Ordine meticoloso e cura caratterizzano l’appartamento al quinto piano luminoso le finestre volte là dove Roma si protende verso il mare. La serenità il tono pacato il sorriso il naturale coinvolgersi e raccontare le tappe di un dolore della tragedia l’8 settembre aderire alla Repubblica imporsi essere arruolata nonostante la sua condizione di non vedente nella Guardia Repubblicana il 25 aprile il rifugio nel Vescovato di Como il fratellino Aldo – ‘i miei occhi’, come lo definisce – ucciso e gettato in Adige, non ancora quindicenne, mascotte della Brigata Nera tre mesi dopo la fine del conflitto. E le umiliazioni il disprezzo costruirsi l’esistenza in un mondo ostile o indifferente. Eppure, con naturalezza, senza facile retorica o alibi a compensare le tante difficoltà, ‘La vita mi ha dato tanto amore’. Più dei professorini saccenti e ignobili, di libri taglia e cuci, dell’arroganza di intellettuali stitici e onanisti di idee e ardire. ‘Tanto amore’, già…

                                                                                                                

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