Televisione, oh cara..

 

Televisione, oh cara..

Ricordo mia madre e l’insistere all’acquisto del televisore che, a suo dire, mi avrebbe tenuto a casa di sera, mentre io con la facile scusa d’andare a vederla da amici me ne stavo fuori a sognare e chiacchierare e agire per una rivoluzione, forse velleitaria e confusa e intesa però sinceramente. Infine, dopo aver resistito per anni e a difesa della radio – musica classica conversazioni trasposizioni letterarie -, mio padre si diede per vinto e, anno 1969, piazzò il televisore in camera da pranzo, constatando la sconfitta lui davanti al piccolo schermo ed io per strada. E mi portò, oltre tutto sfiga, che pochi mesi dopo mi strillò dietro la notizia del telegiornale, ore 20 del 12 dicembre, che a Milano era scoppiata una bomba mentre erano venuti a prendermi in tre dell’Ufficio Politico e pensavo – illuso e stolto – che non me he fregava niente visto che ero a Roma. Tre anni e diciassette giorni trascorsi prima di rivedere quel televisore in un angolo della sala da pranzo…Per quanto lo riguarda ho perso ben poco, vivendo una esperienza più significativa tra sbarre e chiavistelli e incontrando un variegato tipo umano utile a compensare quello mediato sui libri o, più tardi, dietro la cattedra e sui banchi di scuola. E solo ora, dopo cena, prigioniero di un corpo che fa i capricci, mi ci siedo davanti con dei biscotti una vaschetta di frutta guardo e non vedo nulla. Come un cieco che percorre una strada illuminata da torce – un po’ di calore per assopirmi. Così il telecomando si trasforma in esercizio articolazione delle dita e gli occhi varietà di colori. Film il cui inizio m’è vago e il loro epilogo ignoto, dibattiti reiterati e monchi prima sulla paura pandemica oggi sul fronte dell’est. E con questa immagine e decadente e lagnosa e da rudere ricoperto da gramigna cedo le ulteriori poche righe a commentare – che, poi, non è neppure un commento vero e proprio – il recente servizio (si fa per dire) di Report sull’anniversario della morte del giudice Falcone, località Capaci, e il ruolo che avrebbe avuto Stefano…Cambio canale. Per caso mi ritrovo a sentire il nome di Stefano, ancora una volta il mondo delle chiacchiere, il gioco futile e osceno delle ombre. A Felice Cavallotti, il focoso appassionato deputato radicale, che gli rimproverava interventi stringati e sciatti Giovanni Giolitti, allora Primo Ministro, rispose asciutto e brusco: ‘Quando io non ho nulla da dire, taccio’…Che molto giornalismo (termine qui inadatto), carta stampata o video, abbia scelto l’effetto di una notizia costruita e fasulla dal lavoro certosino e intuitivo della ricerca intorno ai fatti è nota dolente e reiterata. Non mi accodo ulteriormente non me ne dolgo e non me ne rallegro. Qualcuno l’ha definito simile al banchettare dello sciacallo sul cadavere dei leoni morti… Nella mente, però, il montare di una ideuzza bizzarra e orgogliosa: se ogni nefandezza, reiterata e vile (nessuno paga il fango gettato a piene mani), la si attribuisce a Stefano e a quella realtà, piccolo e ardito mondo, che, a vario titolo e in circostanze e tempi diversi, ha condiviso idee e momenti di lotta… vuol dire che, in fondo, ho vissuto e partecipato ad una avventura più grande della mia (senza retorica o falsa modestia) capacità di autostima o di commiserazione. ‘Uno schianto, non una lagna’.

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