Un giovane editore ha inaugurato la lunga o breve avventura editoriale – non certo s’intende gufare, ma abbiamo assistito a troppe nascite tramutatesi in aborto – con un saggio su Pasolini partecipe alla XXIX Mostra del Cinema di Venezia, anno 1968, con il film Teorema. Titolo, appunto, Teorema sessantottino, Ardente Edizioni. Di PP. Pasolini ho tratteggiato il ricordo in autoreferenziali scarne e lontane paginette in Ritratti in piedi, fra le prime mie tentazioni da scrittore. Poi, nel buon libro scritto a quattro mani da Gianni Borgna ed Adalberto Baldoni, La lunga incomprensione, ne ho ripercorso alcuni di quei tratti. Non vi tornerò sopra, ma mi è tornato a mente un pomeriggio, probabilmente domenicale, cinema Planetario, con Saverio e Roberto e Bepi e forse Sandro che, annoiati più che schifati, a metà della pellicola levammo il disturbo, rimproverandoci una scelta verso un autore e un film che avremmo dovuto immaginare non conforme ai nostri (modesti e borghesi) gusti.
‘Pasolini racconta la storia di un giovane – l’Ospite – che si introduce nella famiglia di un ricco industriale, seducendo sessualmente tutti i componenti… L’Ospite è la personificazione dello gnostico, il portatore della conoscenza, che utilizza abusando degli altri… La sua scomparsa conduce i componenti della famiglia alla disperazione, alla dissoluzione delle loro esistenze. L’amore devastante e sconvolgente ‘distrugge ogni idea che essi avevano precedentemente di sé stessi e della vita’…
Troppo cerebrale, Freud e Marx a darsi la mano, per dei ragazzotti, quali eravamo, più prossimi agli eroi di Emilio Salgari a tutto tondo ‘belli e buoni’ e a Tex Willer la cui Colt semplificava il concetto di giustizia. A noi bastavano dei bastoni e barricate come avevamo sperimentato il 1 marzo a Valle Giulia e a cercare di rimorchiare le ragazze al Piper Club, il cui ideatore e proprietario era stato giovanissimo nella X Mas e chiudeva un occhio se non avevamo il biglietto d’ingresso. Ancora in giacca e cravatta (io no), i capelli corti (io no), lettori di Julius Evola (non tutti in accordo con il Barone, relegato nella sua abitazione di Corso Vittorio), però tesi, forse illusi. a preservarci liberi e giovani nei sogni e negli ideali. Quei sogni ad occhi aperti (così pericolosi, secondo la definizione di Lawrence d’Arabia) e quegli ideali (‘la torre del nostro orgoglio e della nostra disperazione’, secondo i versi di Drieu la Rochelle). E ci facevamo beffe – magari con un pizzico d’invidia, va detto – dei nostri coetanei di sinistra, ‘marxisti immaginari’, avendo letto ne Il nostro anteguerra di una gioventù ‘anticonformista per eccellenza, antiborghese sempre, irriverente per vocazione’, che aveva attraversato le strade d’Europa per darle un nuovo ordine… E a quella giovinezza, a quella libertà abbiamo cercato di restare, ostinati e fessi, fedeli.
Immagine: https://tessere.org/