Carlo Cattaneo. Nome familiare per chi, in circa quarant’anni, ha svolto l’incarico di insegnante di storia e filosofia nei licei della periferia romana. Con Giuseppe Ferrari rivolti ad un progetto di federalismo democratico e socialista, repubblicani. Mentre il Ferrari (Milano 7 marzo 1811-Roma 2 luglio 1876) venne eletto più volte deputato in Parlamento sugli scranni della Sinistra e, infine, Senatore del Regno, interventi e scritti, il Cattaneo coerente all’idea repubblicana, pur anch’egli più volte eletto, mai volle partecipare ai lavori parlamentari per non giurare fedeltà alla monarchia.
Nato a Milano (1801), giurista, fu fra gli animatori delle Cinque Giornate (18-22 marzo) in qualità di membro del consiglio di guerra, quando la città si diede alle barricate e a suon di schioppettate cacciò gli austriaci. Costretto all’esilio si rifugiò in Svizzera nei pressi di Lugano dove matura le sue idee. Fu fra i fondatori (nel 1839) della rivista Il Politecnico con lo scopo di fornire un contributo al miglioramento della cultura in ambito scientifico e tecnico.
La Idrovolante Edizioni (casa editrice gestita da giovani ardimentosi), in questi giorni, tracimando nel nuovo anno il centenario della Vittoria e ben consapevole di come si renda, con relative polemiche di nota isteria, prossimo l’anniversario dell’impresa di D’Annunzio a Fiume, ha pubblicato una esile raccolta di articoli del Cattaneo, scritti tra il 1860 e il ’62, titolo Terre irredente, già editi nel luglio del 1920, casa editrice Il Solco. Saggi brevi su quelle regioni che erano in possesso dell’Impero Asburgico o di quello francese (la cessione con un plebiscito assai discutibile di Nizza e della Savoia) o il Canton Ticino che, contro ogni risibile contestazione, mostra come sia possibile un modello di culture difformi in un’Europa libera e confederata.
1920 la sua edizione ci riporta al richiamo della Prima Guerra Mondiale, ai trattati di pace, così stolidi e irosi da predisporre l’Europa a ennesimo conflitto, quella “guerra civile” per dirla con lo storico Ernst Nolte, il suicidio di un primato secolare di nazioni imperi culture. L’irredentismo era, allora, sentimento vivo con i suoi martiri, in Italia da Guglielmo Oberdan (impiccato il 20 dicembre 1882 al grido disperato e fiero di Viva l’Italia, viva Trieste libera…) a Cesare Battisti e Nazario Sauro, l’uno triestino e il secondo istriano, impiccati durante le fasi del conflitto quali disertori dell’esercito austro-ungarico. Oggi? “Il resto è silenzio” fra barconi alla deriva nel Mediterraneo e votazioni inutili per un parlamento a Strasburgo inetto e incapace. Eppure…
Vale la pena ritrovarsi fra le pagine del Cattaneo, in specifico il capitolo dedicato a Trieste e l’Istria, là dove, ad esempio, il nostro poeta nazionale Dante ci rammemora “Si com’a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna” o, memori, dell’altare di Perasto con quel giuramento “nu con ti e ti con nu” di fedeltà a Venezia della sua gente ivi riposto e che D’Annunzio seppe magistralmente riprendere dando a Fiume e a tutto il litorale istriano e dalmata nuove speranze e rinnovata fierezza. E, ancora, la lettera al Mazzini di Macedonio Melloni ove il presidente Abramo Lincoln avrebbe riconosciuto l’italianità delle terre e d’Istria e di Dalmazia. Diamoci, dunque, alla lettura irredenta a giovare allo spirito pur se la passione si acquieta e ancor più le armi dell’irredentismo tacciono. Nostalgia del futuro, comunque, per un libricino da non evadere.