Ugo Spirito e la critica della democrazia [4]
Col criterio della maggioranza gli uomini, però, non sono più tutti sovrani, poiché i più hanno ragione dei meno. Si può tentare di conciliare maggioranza e totalità, come ha fatto Rousseau, ma ciò non toglie, scrive Spirito, che il principio riconosciuto come valido e legittimo sia quello della quantità. Ora, però, l’uomo contemporaneo è un uomo differenziato, frazionato, dipendente da tutta la società di cui è parte: si tratta di un processo che l’industrializzazione ha generato e che è destinato a diventare sempre più evidente con il progresso tecnologico. L’uomo contemporaneo, per il filosofo, non è più l’individuo atomisticamente inteso, ma l’uomo del socialismo, del comunitarismo, della scienza e della tecnica: l’uomo al di là della democrazia.
Nella contemporaneità, infatti, l’attività umana viene “sprivatizzata” e l’uomo non ha più significato fuori del vincolo sociale. A nessuno è più lecito, e concesso, di far parte per se stesso e, se per libertà deve intendersi quella dell’individuo irrelato, il filosofo non esita ad affermare che la libertà è finita. Certo, l’uomo non è mai stato del tutto privato, ma il processo di sprivatizzazione va sempre più assumendo dimensioni tali da dare un significato diverso allo stesso concetto. L’individuo apologizzato dal pensiero borghese e democratico, argomenta il filosofo, è finito e continua a sopravvivere soltanto come residuo conformistico. Sorge ora una nuova metafisica che si risolve nella scienza e pone l’uomo non più come soggetto, bensì come oggetto, il che comporta, di riflesso, l’oggettivazione e l’universalizzazione della conoscenza. È il trionfo della scienza che per affermarsi deve avere una sua metafisica che per prima cosa comporti l’identità tra psichico e fisico.
L’uomo non è più uguale agli altri, ma è differenziato dal ruolo che occupa nella società. È evidente come tutto ciò comporti una crisi della rappresentanza nella sua versione “moderna”: il dualismo tra maggioranza e minoranza non può più essere il criterio fondamentale e deve lasciare il posto alla competenza come criterio ineludibile.
Si tratta di considerazioni che Ugo Spirito faceva nel 1963, quando, come si è detto, l’Italia aveva ancora il maggior numero di elettori che si recava ai seggi di tutto l’Occidente e le ideologie non sembravano ancora in crisi. Lo stesso Sessantotto, che alle ideologie porterà il primo colpo, era ancora lontano un lustro, ma già nel mondo contemporaneo, Ugo Spirito vedeva la crisi della politica che ormai è un fatto conclamato. Crisi di rappresentanza, crisi di competenza, crisi di partecipazione e soprattutto crisi di idee che trasformano la politica in amministrazione, quando dice bene, o in mera gestione del potere finalizzato a fini partitici quando non personali.