Un grave dilemma

 

Un grave dilemma

Morto un Papa se ne fa un altro. È il frutto della saggezza popolare che aiuta le persone più deboli ad affrontare le perdite inattese che la vita ci offre in tutti i campi ed i settori.

Invece questo detto oggi viene smentito clamorosamente dopo la morte di un grande Pontefice, Benedetto XVI, perché ufficialmente un altro pontefice c’è ed è Papa Francesco e quindi non si può e non si dovrebbe farne un altro.

Messe da parte tutte le questioni di diritto canonico, su cui sicuramente non sono in grado di discutere data la mia poca dimestichezza in materia, avendo soltanto dato un esame universitario oltre 50 anni fa, mi preme affrontare il problema politico che la questione pone. Perché il Santo Padre, oltre all’alta funzione spirituale che assolve, è anche il capo assoluto, con poteri totali, dello Stato della Città del Vaticano e, quindi, in quanto tale, soggetto a valutazione politica.

Nessuno dovrebbe entrare in discussione su tali questioni, perché potrebbe sembrare che venissero criticate le alte funzioni rappresentate dal Vescovo di Roma considerato da tutti come il successore dell’Apostolo Pietro.

Eppure le dimissioni e la convivenza di due Papi questi problemi sicuramente li pone; e sono problemi che emergono in modo lampante anche dall’attenta osservazione dei comportamenti in questi anni difficili messi in atto dai due Pontefici.

Nella mia scarsa conoscenza delle gerarchie ecclesiastiche e delle relative funzioni, la mia impressione è stata che ogni volta che si dovevano svolgere funzioni prettamente legate alla dottrina, alla fede ed al culto, all’improvviso compariva riservata e rispettata la figura del “Pontefice Emerito”. Parallelamente quando si trattava di problemi organizzativi, viaggi, comunicazioni non dottrinarie è stata sufficiente la presenza del solo Papa Francesco.

Come conseguenza di questa mia sensazione quest’ultimo, al contrario di Papa Benedetto, non ha mai parlato “ex cathedra” cioè con il riconoscimento del dogma dell’infallibilità papale nel campo della dottrina e della morale.

Tutto questo ha un significato preciso e presenta una serie di problemi. Primo fra tutti capire se queste funzioni, essenzialmente spirituali e caratterizzate da profonda sacralità, che attengono ai dogmi fondanti della dottrina cattolica, dopo la morte del “papa emerito” si assommano nel secondo Papa.

Se la risposta è affermativa, come si fa ritenere possibile che un’operazione di tale importanza possa avvenire meccanicamente senza ripetere la profonda ritualità insita in tutte le operazioni per la nomina di un Pontefice al punto da considerare certo nel Conclave l’intervento diretto dello Spirito Santo?

Ricordiamoci che stiamo parlando di atti sacri, che riguardano i dogmi, la Fede e i sacri Misteri che la animano.

Muoversi in questo campo, dal punto di vista politico, può essere peggio che muoversi in un terreno minato. Non possiamo, infatti, dimenticare che la nostra Chiesa Cattolica, è stata in questi ultimi anni, profondamente inquinata dal protestantesimo luterano e dall’ebraismo, al punto da aver anche corrotto alcuni riti, e queste tendenze disgregatrici trovano sponda in certo cattolicesimo integrale o, meglio, integralista che non riesce a capire il giusto equilibrio tra i valori tradizionali della Chiesa e la loro estrinsecazione rituale.

Siamo in un momento delicatissimo della Nostra Chiesa che deve essere affrontato con estrema attenzione perché sono molti i nemici fuori ma, purtroppo, anche dentro la Chiesa stessa, e la crisi delle vocazioni ne è testimonianza.

Per questo io che sono cattolico, non praticante e non osservante, seguo con attenzione ciò che può accadere: abbiamo estremo bisogno di una Chiesa forte nei dogmi e salda nei riti cha sappia infondere e diffondere spiritualità e sacralità, per restituire le certezze messe quotidianamente in discussione dal materialismo imperante e dal relativismo.

Dobbiamo ricostruire l’Uomo e l’Uomo ha bisogno di Dio e la Chiesa ne è il tramite più importante.

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