Un occhio al Green Pass, uno a Fouchet, il terzo ad Aquisgrana

 

Un occhio al Green Pass, uno a Fouchet, il terzo ad Aquisgrana

La notizia di questi giorni è ovviamente l’obbligo di essere in possesso di un Green Pass non solo per compiere viaggi extranazionali o per grandi eventi, ma anche per azioni molto più comuni come prendere un treno o andare al ristorante.

A prima vista la notizia ha una sua stratificazione tutta interna alla covidmachia. Macron diventa quindi, per molti, un vaccinatore assoluto, portando Luigi XIV dentro il laboratorio di Jenner, o Jenner nel gabinetto di governo del Re Sole; per altri Macron avrebbe dato l’assalto alla Bastiglia dell’ipocrisia procedendo verso l’ultimo gradino dall’obbligo vaccinale, cosa a cui evidentemente queste misure puntano senza poterlo dire.

Dentro la crisi da Covid abbiamo visto tutto il contrario di ciò che molti scettici ritenevano: la diversificazione nazionale. Ogni nazione europea ha provato ad avere a che fare col Covid a suo modo, con la sua personale ostinazione. Per questo abbiamo visto il cerchiobottismo italico che ha ricalcato da vicino la mancata perfusione statale ottocentesca; il rigorismo a scaloni tedesco con annessa isteria neocentralista, “l’Union Sacrée” inglese.

Questo ci autorizza a vedere nella mossa di Macron qualcosina di più del vaccino isterico. Macron sa molto bene che con questa mossa egli pone risolutamente una questione sul tavolo: per la prima volta s’è parlato espressamente di obbligo vaccinale, anche se, a rigore, la stessa legge macroniana non ne parli se non per categorie particolari. Testimonianza ne è che la Merkel ha subito voluto scacciare il convitato di pietra rilasciando una dichiarazione in cui ricordava come il governo tedesco sia contrario all’obbligo vaccinale e all’estensione del Green Pass interno fuori da grandi assembramenti.

È possibile che anche questo stile, questa scelta comunicativa abbia dentro una tappa della costruzione della Francia Super-Europea che Macron va costruendo fin da Aquisgrana: diventare la nazione politica di riferimento dell’Unione, essere avanguardia, sfruttando il centralismo giacobino che d’altronde ha sempre avuto molti imitatori sul continente come moltiplicatore di potenza. “Io che non ho stupide autonomie e ho la miglior forma di governo” sembra dire Macron “Ora vi insegno cosa dovete e dobbiamo fare nella covidmachia”.

Non è, peraltro, cosa nuova. Lo si vide a suo tempo già con l’attendismo svedese o con il fatalismo inglese: di fronte alle emergenze il modo di rispondere alle sollecitazioni costituisce inestricabilmente un precedente, un esempio, una provocazione e può creare esempi e simboli spendibili politicamente come modelli.

Controprova di questa lettura, oltre il “no grazie” tedesco è il pronto appoggio frammentario italiano, arrivato per bocca del crepuscolare Sileri: né troppo sconosciuto per essere derubricato né troppo importante per valere qualcosa. Però però questi sono i vagiti a dimostrazione che la lallazione verso l’obbligatorietà attraversa anche la melassa politica italiana.

Macron vorrebbe così, in definitiva, porsi come esempio pratico per costruire l’Europa sulla risposta sanitaria. Piccolo indizio: scommettiamo una cedrata che tra non molto verrà proposto un rafforzamento del ministero della salute europeo in senso maggiormente esecutivo e lo proporrà proprio Macron?

 

 

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