Una canzone sangue e acciaio

 

Una canzone sangue e acciaio

1918, fine della Grande Guerra, rendiamo omaggio al mito – nel suo saper parlare al cuore oltre che al pensiero riflettente – della giovinezza. Furono i ‘ragazzi del ’99’ a fare sponda alla riva del Piave, estrema difesa della Patria (allora si poteva e doveva scrivere in maiuscolo, oggi è troppo definirla ‘paese’). Furono i ‘ragazzi del ‘99’ che si lanciarono, balzo finale, fra i primissimi a conseguire il crollo definitivo delle armate austro-ungariche, Vittorio Veneto. I ‘ragazzi del ‘99’ e gli arditi premessa e promessa dei legionari fiumani dello squadrismo e, nel momento più cupo e vergognoso, dopo l’8 di settembre, dei balilla che andarono a Salò.

Sui banchi del liceo ho visto il volto di più generazioni, ogni anno diverso medesima l’età, per circa quarant’anni, con passione e affetto, ricordando loro che la ragazza il motorino la discoteca il pallone appartengono loro, certo, ma che vi furono coetanei che vi rinunciarono memori fedeli degli ideali che ci preservano giovani dei sogni che ci rendono liberi. Retorica, forse. E forse le stragi del sabato sera e quanto riempie le cronache dei quotidiani sono meno ‘perverse’ di quel ‘pugnal fra i denti, le bombe a mano’… Il mondo si raffigura si giudica si ama con gli occhi le emozioni i sentimenti e sono essi la misura nostra e indivisibile.                                                                                        

Novembre 1914, Langemarck, villaggio belga nei pressi di Ypres (qui per la prima volta furono usati gas asfissianti, l’iprite). Gli inglesi, pur malconci, difendono le trincee e ostinati respingono ogni tentativo, altrettanto ostinato, di sfondare le linee da parte germanica. ‘E allora accadde l’incredibile: nel mezzo di un attacco notturno – uno degli innumerevoli attacchi – negli ultimi giorni di ottobre del 1914, già sotto la pioggia del fuoco nemico, accesi dalla luce infuocata e selvaggia di nuvole immobili nel rosso riflesso di diaspro della battaglia, schiere di giovani scattarono improvvisamente, come spinte da un unico spirito, dalle trincee, dalla piatta terra, pronti a dare tutto e si gettarono, con una canzone che sgorgava impetuosa dalle labbra… seguiti da altri che, come trascinati, cantavano anch’essi… nella morte’.                                        

Così descrive l’avvenimento lo scrittore Rudolf G. Binding in Kriegstagebuch (1925), che partecipò alla cosiddetta ‘Rivoluzione conservatrice’ – un coagulo di intelligenze, ognuna con propria peculiarità, che rappresentò quella Destra (?) rivoluzionaria di cui scrisse, in Italia, Adriano Romualdi nella sua tesi di laurea e pubblicata postuma. Anzi per il giovane intellettuale solo la Germania esprime il più autentico spirito europeo, indissolubile legame e invisibile tra sangue e suolo e quelle ‘idee senza parole di cui parlava Oswald Spengler. Ed è proprio Binding, partendo da quanto accaduto a Langemarck-  quei giovani volontari del movimento giovanile tedesco, falciati dalle mitragliatrici inglesi a migliaia, con la baionetta innestata impavidi e cantando l’inno della Germania avanti e sopra ogni particolare egoismo (‘über alles’, appunto) – affermò che nel loro sacrificio v’era il simbolo del rinnovamento nazionale.                            

Ernst Jünger nel celebre In Stahlgewittern (Tempeste d’acciaio), in un capitolo dal titolo proprio Langemarck, dove descrive i combattimenti ormai nella fase terminale del conflitto e nel medesimo luogo, racconta del terreno devastato dalle bombe crateri fango macerie a riportare nella luce vivida delle esplosioni i resti di corpi e di oggetti di quei giovani ormai caduti anni prima. E il filosofo Martin Heidegger, rettore dell’università di Friburgo, nell’allocuzione pronunciata il 25 novembre 1933 durante la cerimonia di immatricolazione degli studenti afferma come nella nuova realtà tedesca ‘porremo questa festa… sotto il simbolo di Langemarck’. E, a conclusione non si può sottacere quanto leggasi (pag. 179, ed. italiana, 1940) nel Mein Kampf: ‘Da lontano giungevano fino al nostro orecchio gli echi di una canzone, si avvicinavano, passavano da compagnia a compagnia; e proprio mentre la morte cominciò ad affaccendarsi nelle nostre fila, quel canto ci raggiunse con pieno empito, e anche noi lo intonammo trasmettendolo più avanti…’.                                                                                           

Giovinezza, sangue e acciaio, una canzone. Nella volgarità del presente nel frastuono ove domina sovrana la disarmonia l’ardore dei cuori l’ardire tace. Il silenzio, però, è pur sempre vita. Nel bosco la bella addormentata, narra la favola, attende fiduciosa il momento del sicuro risveglio. Langemarck ha abbracciato, nella morte, altra e più nobile esistenza. Elmetti d’acciaio, divise feldgrau. Anche noi abbiamo una canzone da gettare al vento, una bandiera da innalzare al sole… Fierezza e speranza.

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