Una seggiola là in fondo…

 

Una seggiola là in fondo…

Ritornare ad essere parola. Con il rammemorante vivo ed intenso della giovinezza bastoni e barricate sbarre e chiavistelli cattedra e pensiero sempre altro ed alto. Io in cammino su Ronzinante e il gran naso a sfida, quali simboli e amici, per dirsi come nulla gettammo inutile al vento o troppo ardente al sole. Attesa giorni vani le corsie d’ospedale la sala operatoria il mondo immagini zoppicanti dalla finestra. Ognuno ha tanta storia e di questa, urlo disperato e fiero, se ne fa vanto…          

Oggi non sono fra di voi –“uno schianto non una lagna” – conosco però la solitudine che si preserva nonostante tutto comunità e quella seggiola di lato, là in fondo, è la mia dall’ottobre del 1960, fragile inquieta fedele. Erano tanti e feroci e cattivi a far tremare il selciato in quel pomeriggio di fine aprile, forse un lieve tremore s’insinuò lungo la schiena percorse braccia e gambe s’insinuò ma …, slacciandosi il cinturone, si disse ci disse: “Io non ho voglia di scappare, io resto!”. Restammo. E siamo rimasti per oltre metà d’un secolo amaro.                                                                                                        

Altre scalinate e altro asfalto serpenti le rotaie del tram. Un anno dopo. Cielo terso e azzurro; l’aria frizzante annuncio di primavera. Non volemmo stracci rossi evitammo drappi neri fummo la prima fila di una giovinezza errabonda, nostalgia e futuro quel 1 di marzo a coniugarsi con la rivoluzione possibile. Valle Giulia. E con quel poster in ogni stanza nella mente nel cuore divenimmo storia anche se ci negarono il nome. Io c’ero e tanto basta. Così la facoltà di Giurisprudenza si trasformò in laboratorio idee combattenti coagulo di forze una visione del mondo. “Noi uomini d’oggi”. E, appena quindici giorni dopo, volarono panche dal tetto non perché condividemmo reazione vile e borghese ma in quanto fu il nostro cuore ardente a condividere comunque le illusioni di tanti coetanei chiamati a fare scudo ai nostri sogni grandi.

Intanto nuvole ad addensarsi cielo grigio autunno annuncio d’odio e di menzogna di sangue estraneo e di sangue nostro generosamente versato in un lavacro dove altri vollero rimestare e renderci diversi. Pagammo, lo so, se siamo qui fummo sì battuti ma non domi. E non furono sbarre e chiavistelli a precluderci le stelle. L’azzurro del mare lungo la costa estrema della nostra terra; l’azzurro a raccogliere il teschio con la rosa fra i denti. Chi può esserne dimentico? Al servizio dell’Idea, il rosso e il nero, non cerca padroni non schiavi orizzonti da travalicare…

Oggi Adriano parla, ci parla, con l’anagrafe avversa, in questo mondo che, a dirla con Nietzsche, “appartiene alla plebe”. Qualunque siano le sue parole che non si rendano vane sirene ma siano, in ciascuno di noi, carne ossa sangue, la promessa mantenuta alla nostra giovinezza premessa a ciò che fummo e volemmo essere. Un abbraccio.

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