Vincitori e vinti

 

Vincitori e vinti

Crisi, ennesima, tra USA e Iran. Scenari di guerra. Crisi, ennesima, in Libia. Scene di guerra in televisione. Tra realtà e finzione. Film già visti. Come nei cinema della mia infanzia, il Cristallo in via Quattro Cantoni ad esempio, ragazzini servette soldati del distretto di via Sforza, a due passi da casa. Il panino con la mortadella in tasca. Tutti a battere le mani all’arrivo, nel finale, delle “giacche bleu” cavalli al galoppo sciabole sguainate il trombettiere a suonare la carica. I buoni sempre gli stessi, belli e bravi, i cattivi sempre gli stessi, brutti e stronzi. I primi, ovviamente gli americani; i secondi, scambievolmente, i pellerossa i giapponesi i tedeschi…

Io solo, pochi altri, muto e le mani strette a pugno sulle gambe magre e i pantaloni corti. Ancora ignaro del detto attribuito a San Pietro “Etiamsi omnes, ego non”. Dalla parte prima dei sudisti e degli indiani, poi dei feldgrau e dei moderni samurai. Contro i vincitori; pro vinti. Quella Nobiltà della sconfitta (titolo di un bel saggio sull’etica del bushi, il guerriero) che ha accompagnato lo scorrere del mio tempo.

Pochi giorni fa è morto Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore – l’ho conosciuto e i suoi libri, fra cui Il sangue dei vinti, non mi sono piaciuti, nonostante il successo che hanno avuto (fra l’altro rendendo ad un pubblico ampio e diversificato le vicende e gli orrori perpetrati dai partigiani durante la guerra civile 1943-’45). Storie ad alcuni di noi note e raccontate sovente dai sopravvissuti, i quali, essendo rimasti fedeli alla “parte sbagliata”, erano inascoltati. Ho vissuto prima da studente, successivamente da insegnante all’ombra di costruzioni indecenti e servili. Esigo da me stesso essere, dunque, fazioso e tratteggiare alcuni eventi con i colori contrapposti del rosso e del nero. Non mi sono piaciuti come costruzione narrativa e per un certo sottile e infido giustificazionismo. Come per l’opera monumentale di Renzo De Felice. Una scrittura faticosa alla lettura (chilometri di parole alla ricerca di una punteggiatura a prendere fiato) e quel proporre il Fascismo simile ad un contenitore vuoto e riempito soltanto dagli intenti ambiziosi di Mussolini.                                                                                                                 

Vincitori e vinti. Troppo a lungo dicotomia retorica e bolsa. Lo confesso: anch’io mi sono lasciato trascinare dal gioco stupido dl carnefice e boia al contempo. Perché la storia, nel suo inquieto scorrere, non conosce che fragili le vittorie e delle disfatte il lontano e flebile vocio. Anche se si sia osservatore distratto la realtà del presente si mostra in inesorabili cangiamenti di ruolo ove i vincitori di ieri e i vinti si scolorano e si perdono al tatto. Solo l’estetica permane, quella bellezza che unica salva come fa dire ad un suo personaggio lo scrittore russo Fédor Michailovic Dostoevskij. E bello è il nero con lo sguardo fiero di chi sa aggiustarsi il ciuffo ribelle e rassettare la giacca offrendosi all’improvvisato plotone d’esecuzione, aprile ’45, a Torino…

Torna in alto