Vivere, vivere con intensità

 

Vivere, vivere con intensità

Superba evocazione di Charles Maurras, tanto cara a Robert Brasillach, prossimo e consapevole che un’altra notte lo avrebbe accolto nel gelido mattino del 6 febbraio, quando dodici proiettili del plotone d’esecuzione gli scavarono la carne per rubargli l’anima. Stolti e feroci ché l’animo del poeta s’era innalzato ben oltre e raggiungere quello spazio dove risiedono i “santi i martiri e gli eroi”, come recita dei paracadutisti il canto. E perché no, i poeti…

“La giornata sta per finire senza fiamme: ho pregato che non si accendano fuochi. Che la sera scenda con le sue nebbie incerte: il dettaglio, l’incidente, l’inutile, vi affogheranno, mi resterà l’essenziale. Ho mai chiesto altro alla vita?”.

Non scrivo di Brasillach, che mi fu e rimane il fratello a me caro, quel fratello che ha tentato di educarmi alla “fierezza” alla “speranza” (non sta a me valutarne l’esito) che mi ha spronato alla scrittura con i suoi Poemi di Frésnes cosi, al contempo, capaci di commuovere e rasserenare, che scoprii a sedici anni sui banchi di Piazza Fontanella Borghese, e le opere che contribuii a far pubblicare in questo nostro Paese divenuto ormai tanto povero tanto arido. E, ancora, quella “eminente dignità del provvisorio che tanto dispiace ai borghesi”. Non è poco, direi. Quando ebbe fine la mia detenzione ebbi a pubblicare qualche anno dopo Inattuale, raccolta di versi che ebbero modesta fortuna, dove si legge “Non importa – quello che annuncerà – l’arrivo della realtà. – Ciò che abbiamo conquistato – in questi tre anni, non possiamo più cederlo: – l’abbiamo chiamato – indifferenza per il superfluo” Con un pizzico notevole di vanità (virtù che coltivo con coerenza e tenacia). Anche questo non è poco, direi…                                                                                                                     

Per circa quarant’anni ho esercitato la professione di docente, piccandomi di essere un insegnante (colui che lascia un segno). Illusione e vanagloria? Nella differenza sta l’antitesi tra il superfluo e ciò che conta? Quell’essenziale di cui fa cenno il Maurras? Lo scrittore francese André Gide ripeteva come egli lasciasse coabitare in sé tutte le contraddizioni o qualcosa di simile (espressione fascinosa sebbene si riferisse, mi pare, alle sue notorie tendenze sessuali). Eleviamola oltre il suo referente. Infinito e finito? Essere o Nulla? Lo Spirito contro la Materia? Il linguaggio della mente, quello del Corpo? Più semplicemente, infine, “vivir, vivir con intensidad” avendo come barra nella tempesta del quotidiano lo Stile… Anche questo, direi, non è poco.

Ecco perché mi duole assai che la vecchiaia sia arrivata e in così malo modo (essa è, come sosteneva Aristotele, il primo dei nostri mali). Non potersi più confrontare con le grandi antitesi e risolverle, forse. Nella dissolvenza. Come la musica, nella notte e tripudio di stelle il vento a giocare tra le foglie e le ombre a raccontar storie.

Torna in alto