8.109 Km
Comincio col chiedere venia alle sole due persone che mi leggono (mia sorella e un condomino del palazzo) per aver collocato la ‘toccata e fuga’ di Empoli erroneamente in quel di Firenze: succede quando si é profondamente turbati da una catastrofe. Nei momenti in cui riflettevo sull’entità del misfatto, anzi, dei due misfatti correlati, mi tornavano in mente, un pò alla rinfusa, i ritagli della cinematografia predittiva: il grigio rimbombo del contrabbasso e l’inesorabile espansione dei cerchi nell’acqua, come una specie di ascesso. In questo lucido dormiveglia mi é apparso, stretto, quasi senza labbra, il sorriso di Ursula Von Der Layen a commento della decisione presa dalla Commissione UE di silenziare il Natale e di abrogare Maria, e l’ho trovato del tutto uguale a quello di Miss Ratched (ricordate? L’abominevole direttrice del manicomio profanato da un cuculo di nome McMurphy): con l’unica differenza che nella realtà presa in prestito dal film, sono i pazzi ad occuparsi della gestione del nido, e i sani vi si sono docilmente rinchiusi dentro, mentre McMurphy/Nicholson assolve con colpevole indolenza il suo ruolo, ai limiti dello sciopero.
Nei pressi della stazione Termini, a Roma, un nigeriano, fuori di sé per essere stato aiutato ad abbandonare la propria terra e a scendere come un fiocco di neve fuori stagione in un mondo che non conosce, ha impugnato un largo coltello da macellaio e l’ha brandito, minaccioso, verso i poliziotti, armati di pistola, che lo attorniavano. In una vecchia pellicola di Sergio Leone, ‘Per un pugno di dollari’, fa spicco il principio secondo cui ‘quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola é un uomo morto’. In una delle sue molteplici applicazioni tale principio potrebbe tradursi, a tutela delle persone imprudenti, nell’avviso che ‘quando un uomo col coltello incontra degli uomini con la pistola, quello col coltello é un uomo morto’.
La regola varrebbe dappertutto, in un qualsiasi distretto del mondo compreso tra i due poli, ma non in Italia, dove l’uomo col coltello ha tenuto la scena – guai a toccarlo! – per un’infinità di tempo, quanto ne servirebbe, uscendo a notte fonda dal teatro, ad un dicitore balbuziente per leggere ‘Ed é subito sera’ di Quasimodo: enormemente di più, una dissolvenza rapace, di quanto ne impiega il questurino in borghese a Milano per afferrare dal bavero un vecchio pensionato che protestava per il green pass e trascinarlo verso il cellulare per essere schedato e segnalato all’autorità giudiziaria. L’immagine, inevitabilmente un pò mossa, é l’epitome di come si sono ridotti questo Paese e questo Stato dacché li hanno adottati gli stessi adottanti di Ursula Von Der Leyen, il banco di prova, disseminato di vetrini e di alambicchi, dove si fanno esperimenti per verificare fin dove arrivano negli Italiani (assai più che negli altri europei) la disponibilità a farsi manipolare e la tolleranza all’insania, mascherata da avanguardia creativa.
Non ci sono più né geometria, nel senso che si attribuisce alle cose che rispettano un ordine, né religione, che é, nella sua accezione più ampia, la proclività delle persone che si mettono insieme a condividere delle prassi, ma tutto si risolve in ‘caciara’, la poesia diventa insulsa filastrocca come in Metastasio, e la prosa – di una durezza estrema per chi la compulsa da più vicino – non é quella in cui si parla di un bibitaro, quasi analfabeta, che era diventato ministro degli Esteri (una favola, che fa cagare o piangere: a scelta), ma quella di un Draghi, il quale, con la perseveranza nell’errore tipica delle specie aliene (e ciò, nonostante abbia avuto un’eccellente formazione scientifica, sempre che non sia proprio questo il motivo) continua, con la servile complicità di uno stuolo di nani, a tenere in piedi un sistema in cui i salari più bassi di tutta Europa fanno da pendant con le tariffe più alte: unico caso nella storia di un Paese che non fosse, o che non sia, ridotto, almeno informalmente, a colonia.
Questa é l’Italia, un Paese in cui l’analfabetismo di ritorno, fomentato dalla pochezza dei media, non emette le tenue risonanze della risacca che si spegne sulla battigia, ma si avvicina ai centri abitati col furore silenzioso dello tsunami, con l’inevitabile risultato che, trascorse altre due generazioni, o al massimo tre, saremo, per tale ragione, risucchiati indietro dall’Africa con cui ci siamo già gemellati, per uniformarci al falso buonismo predicato dalle false Sinistre infeudate alle elite. Ma é anche il Paese in cui l’esservi nato é di gran lunga molto meno remunerativo che l’esservi entrato dalla finestra, perché qualcuno l’ha lasciata aperta, e parlare la propria lingua – la più bella al mondo, l’endoscheletro della nostra cultura – é ormai una prerogativa che può durare ancora per qualche lustro, perché si dissolve giorno dopo giorno, ora per ora, nell’acido dell’Inglese, che é l’esperanto degli snob e dei tecnocrati scritturati dal NWO.
Prima dell’11 settembre, uno dei ‘memento’ che lampeggiano sul quadrante analogico della Storia, c’é il 18 novembre del 1978, la data in cui quasi mille persone (per la maggior parte, di nazionalità americana, un terzo bambini), che erano stati circuiti dal reverendo Jim Jones con la promessa che avrebbe costruito con loro il paradiso sulla Terra, si suicidarono in massa nella giungla della Guyana, trangugiando un liquido dal sapore molto simile a quello di una bibita alla frutta, molto diffusa negli States, la ‘Kool-Aid’, nella quale il capo aveva fatto mettere del cianuro. Il motivo della carneficina – la più grande tra quelle dovute a cause non naturali negli Stati Uniti, prima del collasso del ‘Word Trade Center’ – fu il timore che le autorità americane, informate degli abusi che si commettevano nel ‘People’s Temple’, il territorio requisito dai maggiorenti della setta, potessero intervenire ‘manu militari’ e negare ai seguaci di Jim Jones il diritto di edificare un mondo migliore rispetto a quello in cui i neri erano vessati dai bianchi, non c’era uguaglianza neppure tra uomini e donne, e dilagava l’ingiustizia sociale.
Il fatto che la cornice ideologica del ‘People’s Temple’ fosse così accattivante provocò negli adepti una sorprendente insensibilità alle violenze, di ordine fisico e psicologico, alle quali erano ripetutamente sottoposti dalle squadracce di Jones, molto verosimilmente perché avevano maturato l’insano convincimento che le sofferenze e la ‘cattività’ fossero il giusto controvalore del loro ingresso nel paradiso.
L’orrore suscitato da tutti quei morti, sparpagliati sull’erba come dei ranuncoli a primavera, si sublimò nell’espressione ‘drink the Kool-Aid’, agghindata per chi se le beve tutte, e anche per chi, soggetto ad un qualsiasi potere, ne accetta tutte le decisioni, senza mai chiedersi se siano giuste o sbagliate.
Ora, é vero che siamo ad oltre ottomila chilometri dalla Guyana, ma é pur vero che per entrare nel paradiso dell’Europa, dove peraltro la stragrande maggioranza degli Italiani non ha mai chiesto di entrare (non in questa Unione, governata da dei norcini con l’elmetto chiodato), siamo stati costretti a subire l’invasione dall’Africa; le pensioni da fame (tenga buon uomo!); la confisca dei nostri valori identitari; la demolizione della Scuola; l’attacco alla Sanità pubblica, il confinamento nei distretti periferici della ribalta internazionale, laggiù, in fondo, con le chiappe appoggiate su di un semplice strapuntino. Senza contare il vulnus inferto, da diversi anni, ad uno dei fondamenti della democrazia, che consiste nel voto, prescindendo dal quale, oplà, si sono insediati a Palazzo Chigi, uno dietro l’altro come tante processionarie, ma col beneplacito di Bruxelles, i vari Monti, Letta, Renzi, Conte, Draghi, il botto finale, quello più grosso, che chiude una festa e ne annuncia un’altra: peggiore.
Insomma, tra Roma – distanza calcolata dall’aeroporto (da Montecitorio ne saranno un pò di più) – e la Guyana, uno staterello incastrato sulla gobba dell’America del Sud, ci sono esattamente 8.109 chilometri. Sembrano tanti, ma é solo un’impressione.
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