A che punto è la notte

 

A che punto è la notte

È come se, disperso il black out dell’anestesia, con due fili di gomma dentro il naso, mi chiedessi come mai sto qui: la tonta incredulità non del bambino appena nato, ma di uno che ha viaggiato a lungo, senza accorgersi di aver smarrito la strada, un passo dietro l’altro nella direzione sbagliata. O, forse, era quella giusta, ed erano gli altri, quasi tutti gli altri, ad aver perso la bussola. La testa, mi si riempie di domande che, indifferenti a qualsiasi disciplina, s’intrecciano tra di loro disegnando sullo sfondo della mia debole intelligenza, corrotta dalla pressione degli eventi, un’orgia di piccoli cerchi, come di una pozza d’acqua flagellata dalla pioggia.

Mi chiedo, ad esempio se ci sia una ragione – che abbia valore sotto il profilo antropologico, prima ancora che sotto quello politico in senso stretto – relativamente al fatto che in Francia, per il tentativo da parte del Governo di elevare l’età pensionabile di due anni, siano vicini all’insurrezione, e che in Israele quello di Netanyahu di trasferire al potere esecutivo una parte delle prerogative sinora detenute dalla Magistratura, ha fatto scendere milioni di cittadini incazzati in piazza, a pochi centimetri dallo scoppio di una guerra civile. Tutto questo, mentre in Italia l’età pensionabile fu portata a sessantasette anni (tre in più di quanti ne siano stati necessari oltralpe per scatenare il finimondo), senza che il sindacato confederale al guinzaglio dei padroni, desse una prova tangibile della propria esistenza in vita: il capo reclinato all’indietro, la bocca aperta su quattro denti scavati dalla carie, l’occhio vitreo, come nelle pose prescritte per chi si lascia paparazzare tra gli scaffali dell’obitorio. Più o meno l’istantanea di quanti, in Italia, negli anni, hanno reagito alla metamorfosi del Diritto, stuprato dai Palamara, e diventato potere aggiunto rispetto a quello dei burattini manovrati da una ‘longa manus’, molto più lunga di quanti stanno a Palazzo Chigi, e in tutti gli altri palazzi, i quali hanno dato spesso l’impressione di essere solo dei torsi.

L’uomo che soffre é una persona che si pone molte domande senza che per ciascuna di esse ci sia un feedback, tranne che non voglia – procurandosi ancora più male – accorciare, per fare meno fatica, sulla tangente dell’anomalia antropologica (l’italiano, predisposto con tutto il suo equipaggiamento di cellule malate a divenire un povero italiota) per la quale non esistono né cure né correttivi, o dilatare fino alle sue estreme conseguenze l’orizzonte della ricerca, buttandoci dentro la TV che rincoglionisce e che aliena; i politici, il sindacato, la magistratura, i media e l’alta finanza che sviluppano, prendendosi teneramente per mano, i loro lascivi giri di valzer intorno al popolo becco; il crollo al rallentatore dell’ordinamento democratico, perché gli edifici costruiti sulla sabbia delle menzogne e tenuti insieme da un mastice che non attacca, come l’antifascismo in assenza di fascismo, non hanno i numeri per durare e, se suscitano sensazioni diverse, ciò é imputabile alla legge della relatività che adultera le grandezze.

Tanto più impegnative certe domande quanto più sembrano semplici. Sono i miracoli della retorica. Una, ad esempio: quali azioni può compiere, alla testa del partito che ha ereditato i cimeli della Terza Internazionale e l’argenteria del PCI, una ragazzina registrata all’anagrafe, in Svizzera, col nome di Elly Schlein, con un sacco di soldi e con la cittadinanza USA, se non solo quella di testimoniare, anche con la sua manifesta doppiezza sul piano delle inclinazioni sessuali, l’irriducibile volontà delle oligarchie di confiscare ai figli le certezze e le conquiste dei loro padri, ma anche, paradossalmente, quella di indicare il punto da cui si deve partire per contrastare il transumanesimo che avanza con l’eclisse dello stato sociale, col vilipendio del mondo del lavoro, col sabotaggio della segnaletica esistenziale – la freccia che indica la direzione per Roma collocata al posto di quella puntata sul Polo Nord – che priva le singole persone di ogni punto di riferimento per ridurle, sic et simpliciter, ad un codice QR ambulante, ad un ammasso di proteine.

Fa un certo effetto rilevare che l’adozione di un bambino – generato a seguito del prestito dietro compenso di un utero – da parte di una coppia gay sia non solo ammessa ma caldeggiata dalle stesse persone che, facendo professione di ecologismo, si scandalizzano per le ferite inferte al creato dal cacciatore che impallina la preda o per le ruspe che abbattono gli alberi per far progredire i lavori della TAV, come se – per dirla senza troppi fronzoli – togliere all’infante il diritto di avere una madre che non abbia i baffi a manubrio, o un padre che non si agiti come un’odalisca, non rientri tra le fattispecie vietate dagli statuti della Natura: un brillio continuo, di corti circuiti che si rincorrono sfrigolando sulle linee dell’alta tensione. Perché é sufficiente che se ne determini uno, e tutti gli altri vengono dietro, senza che tu ricordi o che sappia, a cose fatte, quale sia avvenuto per primo.

Sai soltanto che, per compiacere una moda introdotta da menti malate, si é accettata l’idea che la democrazia migliori con le ‘quote rosa’, che trasformano la cooptazione del personale politico in un pericoloso esercizio di insiemistica a detrimento del merito. Un indice, dei tanti, di quale sia l’unica linea di tendenza della cultura politica che é nata tra gli ombrelloni di Capalbio e sugli attici dei Parioli: l’apoteosi dell’atomo e del pulviscolo, la santa alleanza tra le minoranze incattivite dall’abulia della maggioranza, una società in cui tutti si battono contro tutti, gli uomini contro le donne, i giovani contro i vecchi, i neri contro i bianchi, per far vincere i creatori di questo assurdo torneo, che hanno già vinto, sin dall’inizio.

Che questo processo sia stato studiato, anche nei suoi minimi particolari, e che venga realizzato a mo’ di cascata per scongiurare il rischio che lo si possa facilmente rallentare o scongiurare con degli interventi isolati, é altresì dimostrato da una concatenazione di fatti. Dagli zingari – specie protetta, come quella di tutti gli apolidi, degli stranieri e degli abusivi di ogni risma – ai quali viene permesso di rubare, senza pagare alcun pegno, perché il cittadino italiano DOC deve famigliarizzare col concetto che la proprietà, nel sistema scaturito dalla fusione del comunismo primitivo e del turbocapitalismo, non é più un diritto. All’ex guardasigilli Marta Cartabia (contrazione di cartabianca, si può tentare di capire per chi) che depenalizza, con un ingegnoso espediente giuridico, i reati di furto e di violenza privata, sollevando i tribunali dall’obbligo di intervenire a difesa delle loro vittime ed imprimendo una cospicua accelerazione alla deriva istituzionale che, continuando così, dovrà inevitabilmente adempiersi con l’estinzione dello Stato o, nella più ottimistica delle ipotesi, con la sua retrocessione a prima di Thomas Hobbes, un salto carpiato all’indietro, di quasi quattrocento anni.

Ma gli anacoluti, solo apparenti, non finiscono qui. Mai si é tanto parlato, come adesso, di ‘privacy’, il cerchio inviolabile della nostra vita privata, a difesa del quale hanno addirittura insediato un’Autorità, stipendiata dal contribuente, che non può nulla, né vuole, contro i venditori del ‘Folletto’ che ti entrano nello smartphone, contro la mareggiata digitale che ti rende trasparente agli occhi del Fisco, contro chiunque, animato da cattive intenzioni, vuole sapere a che ora, normalmente, ti alzi dal letto per andare a fare pipì: però, oscurano – e non si sa perché – lo sguardo di un bimbo, che é l’unica cosa che merita di scampare all’oblio allorchè intorno a lui imperversano la rovina e la morte.

Senza parlare di quanto in alto si levi, da parte di tutti i Governi che si sono dati il cambio in questi ultimi venti o trent’anni – compreso anche quello attuale – la preghiera propiziatoria per la Sanità pubblica, che sparisce, giorno dopo giorno, sotto il peso della sua elefantiasi, e quell’altra, per la Scuola, che, invece di proiettarsi verso la società per correggerla, le spalanca – il portamento sciatto della vecchia puttana – le porte, in entrata e in uscita, senza alcun filtro, senza alcuna riserva, una scelta che spinge l’una e l’altra sempre più velocemente, sempre più in basso, come un parapendio per due a cui si fossero ingarbugliate le corde.
Poi, qualcuno obietta che sono un po’ troppo nero.

 

Immagine: https://it.depositphotos.com/

Torna in alto