Afonia degli artisti

 

Afonia degli artisti

Il nero si è preso il cielo. La notte si allunga dura e compatta. Strade spente e schiacciate, muri di cemento morti all’agile slancio. I tetti come guardiani muti. E le finestre chiuse, occhi che mortificano l’avventata curiosità di un tempo. I lampioni, come solitari ubriaconi in cerca di compagnia, rimestano luci stanche nel buio che si inghiotte tutto. L’asfalto si mangia i pensieri e i sogni. Tutto tace. Nemmeno l’imprudenza di un delinquente da quattro soldi a irridere quest’inerzia. La notte si è divorata anche le parole. Così gli ultimi gridi dell’inverno lasciavano il passo ad una primavera già stanca. Marzo, mese di rinascita e stupore ci ha salutati con la mestizia.

Poi, poco alla volta, un barlume di vita ha iniziato a crepitare, le luci elettriche esalando fumi giallognoli e sinistri in un gracile sussulto. Qualche lamento e voce che dal basso popolo urlava per mancanza di pane e respiro. Un fugace imbarazzo per la notte che non vuole cedere lo scettro al giorno: nulla più.

Nei sogni inquieti pareva di sentire le grida di un folle contro l’oltraggio alla sua libertà. Sogni impastati di memorie lontane che cercano uno spiraglio verso il nostro futuro. Già, i folli! Le loro lingue come lame sempre pronte a conficcarsi nelle nostre piccole certezze. Dove si sono nascosti i loro corpi sgraziati? In questo nero che ancora confonde tutto non se ne riconoscono nemmeno le ombre. Mentre gli alacri impostori erano intenti a erigere le nuove gabbie della più “impalpabile” delle dittature, abbiamo atteso invano che un pensiero chiaro e inequivocabile sgretolasse questo nero che odora di morte, che una voce potente abbattesse questo silenzio: la voce degli artisti. Anime insolenti e beffarde che coi loro occhi tuffati a rimestar nel fango, dispensano tesori. Ma abbiamo atteso invano e invano ancora attenderemo. Non che tutto questo ci trovi impreparati e sorpresi, perché questo silenzio, in verità, viene da lontano.

Se percorriamo la storia, la stragrande maggioranza delle personalità artistiche ha sempre avuto un che di convulso e ribelle. E già qui si cela un mistero dell’anima, dove la luce si intrattiene con le tenebre, dove le ariose cime abbracciano talvolta gli abissi. L’artista è a suo modo un “inviato”. Sta poi a lui, con il conforto della comunità in cui si incarna, riuscire a realizzare armoniosamente la sua chiamata. Ma se guardiamo più vicino a noi, agli ultimi decenni che dalla seconda metà del ‘900 scavallano al duemila incontriamo molte figure che hanno fatto della trasgressione, della lotta contro i “poteri costituiti” la loro maschera d’artista.

Molti di loro sono ancora vivi, alcuni in attività, eppure, tutta la loro energia ribelle si è spenta, perfino dimenticata. Da antagonisti, molti di loro si sono scoperti menestrelli del nuovo regime ideologico oggi dominante, altri si sono eclissati, ma sempre pronti a squittire se in gioco c’è la messa in discussione del dogma del politicamente corretto. Certamente molti sanno come ad esempio il cantante Bono Vox sia da diversi anni impegnato al fianco di Bill Gates in “iniziative umanitarie” in Africa e non solo. Iniziative che dietro sbandierati fini altruistici propinano i soliti dogmi riguardanti il controllo delle nascite, il paradigma vaccinale assoluto, il mito della tecnologia come strumento di democrazia e libertà, ecc.

L’ideale di contestazione che questa nutrita schiera di artisti sbandierava anche solo trenta o quaranta anni fa, oggi è divenuto paradigma di potere. E, cosa ancora più eclatante, il progressismo culturale e sociale al quale gli artisti tutti appartenevano, si è alla fine sposato con il progressismo economico, edificando il mostro della società nella quale viviamo. Cos’avrebbero in effetti da contestare se in un certo senso ora si ritrovano finalmente dalla “parte giusta” della storia? In realtà, lo erano già allora! Ma la questione non si può ridurre al semplice piano sociologico. Un vecchio mondo incancrenito rifiutava di rinnovarsi, recuperando il sacro fuoco delle origini. Così, fu gioco facile per i “contestatori”, artisti e intellettuali, con le masse al seguito, rovesciare l’ordine, mettendo in alto ciò che andava tenuto in basso. Anarchici, perché davvero, “staccati dal Principio”.

La Scrittura, però, ci insegna che «Nel Principio è stabilito il Verbo» (En archè), se ci si consente una “diversa” lettura del passo. Da qui procede che la Parola risiede nel Principio; che il Principio è fonazione e significato e quindi germe di vita. Chi si stacca dal Principio si fa sordo e pertanto perde anche la capacità di formulare suono e parole. Muto. E poiché la parola è segno di realtà archetipali, chi volta le spalle al Principio non può avere nulla da in-segnare, né con la bocca, ma nemmeno con le forme dello spazio. L’Eros, energia di amore e conoscenza, che muove la vita dell’umana specie e del cosmo tutto, è il demone per eccellenza degli artisti. Linfa generatrice che celebra gli sponsali tra la terra e il cielo. Ma se questa linfa non viene spinta verso la sommità a chiamare la fioritura dell’albero, essa si spegne sotto il suolo, vede l’albero seccarsi e poi morire. E l’arte non è forse l’opera creatrice per eccellenza? Attraverso la quale l’uomo completa l’opera iniziata dall’Altissimo? Questi “piccoli” artisti, la cui “arte” parla già per loro, hanno agitato le polveri dei sensi e delle spinte evolutive, in una direzione infera e terrosa, anziché convogliarle verso l’alto, verso la realizzazione spirituale. L’Eros, strappato giustamente alle maglie di uno sciocco moralismo, è caduto nella trappola della “liberazione sessuale” destinandosi ad una schiavitù ancora più rigida. Sotto la maschera di una sguaiata sensualità, l’arte moderna si scopriva sterile.

All’opposto di queste figure dappoco, sta il Profeta, colui che si mette in ascolto: Mosè, dipinto da Michelangelo con le grandi orecchie. Profeta non perché sveli le cose future, ma perché si fa interprete delle realtà archetipali, e quindi eterne, al di là del tempo. Ma noi sappiamo e testimoniamo che il vero artista è anche profeta, perché nella sua ispirazione vive il soffio di Dio. Di queste voci avremmo avuto bisogno nelle notti fredde e solitarie di questa consumata primavera. Del loro alito che dava luce alle forme appiattite nell’ombra. Avremmo avuto bisogno di artisti che non cedevano alle forze infere di questo tempo, che al contrario coagulavano tutte le energie disperse e attive, in vista del rifiorimento finale. Così non è stato, ma non possiamo gettare la colpa unicamente sui loro ventri. Sull’altra sponda della corrente che impasta i tumulti di quest’era, vi è forse il danzare di qualche anima? Per gli “oppositori” dell’attuale mondo infernale, l’arte appare come un oggetto sconosciuto. Non sanno intenderla, né recepirla e tantomeno promuoverla. Il moralismo infantile non può certo farsi misura di qualcosa che lo sopravanza enormemente! Anche lì, la sterilità ha scacciato la vita. L’afonia degli artisti sprofonda l’animo nella più crudele tristezza, ma una domanda ancor più terribile fa vibrare quest’oscurità: vi sarebbero mai stati orecchi ad intendere il loro grido?

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