Alla fiera dell’est


 

Alla fiera dell’est

Ci sono su per giù due modi di rapportarsi ad una guerra. Starci dentro per farsi riempire le narici del suo ributtante odore di merda e di sangue. Oppure, starne lontani, sdraiati su di un divano, con un pacchetto di patatine in mano, come davanti ad un videogame. Talvolta, pero’, succede -. é la prerogativa che tocca solo ai culi parlanti – di commentarla avendo piena libertà di scelta, tra i labirinti, foderati di specchi curvi, della fantapolitica e le cosmogonie, come quella targata Dugin, che le mettono al centro, come nel caso del conflitto in atto tra Ucraina e Russia, la suggestione della terza Roma, destinata a sviluppare la sua magnificenza intorno al Cremlino.

In tutta franchezza, appartengo alla generazione che ha vagheggiato, più col cuore che col cervello, l’Europa delle patrie che comprendesse anche la Grande Madre Russia, ritenendo che tale scenario costituisse, da un lato, il contrappeso teorico di un eventuale affrancamento dalla tutela americana e, dall’altro, un’efficace alternativa all’inevitabile espansionismo dei cinesi, troppo numerosi per non pretendere di aggiornare l’estimo del proprio spazio vitale.

Il panorama internazionale si é profondamente trasformato nel corso degli ultimi decenni. I cinesi si sono tolti l’anonima giacca verde dell’epoca maoista e si sono messi in cravatta. Dilagano dappertutto. l’Islam prende i soldi dei sauditi e degli Emirati, sapendo di poter contare, alle strette, sul deterrente atomico del Pakistan e su quello dell’Iran, se lo stato d’Israele la smette di mettersi in mezzo . L’India, altra potenza nucleare, svolge contemporaneamente due ruoli: quello di interrompere la continuità geografica dell’Islam che si protende ad est in direzione dell’Indonesia, e quello, inoltre, di ‘frenare’ la Cina, sfruttando sul terreno delle relazioni internazionali la propria disponibilità a dialogare sia con gli USA che con la Russia.

E’ evidente, per chi voglia farsi mandare da Amazon il kit dell’apprendista stratega, che qui c’é abbastanza materia per giustificare e alimentare tutti i teoremi e tutte le fantasie, anche quando già si annunciano come completamente sbagliate, trattandosi, in definitiva, di elementi che, per la loro complessità e per la loro intercambiabilità (caratteristiche che vengono enfatizzate dai tempi e dalle distanze che si accorciano molto più rapidamente che nel passato) richiamano alla mente l’algebra,con cui si va fuori strada equivocando tra due parentesi, piuttosto che i calcoli fatti usando un pallottoliere.

Al di là di tutti gli arabeschi che si sono intrecciati su ciò che sta ora accadendo in Ucraina, occorre focalizzare su dei dati incontrovertibili. Il primo, forse, di una serie molto più lunga, é che, dopo Belgrado, un’altra grande capitale europea – Kiev – é sotto i bombardamenti, a far data dalla fine della seconda guerra mondiale. Il secondo, che Putin ha attaccato un Paese che non é nella NATO, mentre sembra del tutto campata in aria l’ipotesi che lo avrebbe invaso qualora vi fosse già entrato.

L’iniziativa, invece di scongiurare l’eventualità che Svezia e Finlandia completino le pratiche per l’adesione all’Alleanza Atlantica, favorisce l’effetto contrario, rendendo, se é possibile, ancora più forte l’impressione che mentre altrove il gioco delle faglie é ancora relativamente contenuto, in questa piccola Europa, dove si é tutti troppo vicini gli uni agli altri, le scosse di assestamento, che si stanno moltiplicando, interessano le stesse zone in cui correva il confine tra Est ed Ovest ai tempi della Guerra Fredda, con l’unica differenza che il copione prevede la partecipazione di un altro interprete, l’Unione Europea, che assomiglia alla sua presidente, la Von der Leyen, di costituzione assai gracile, timida, smarrita, l’espressione di chi era atteso sul set di ‘Via col vento’ e si ritrova senza capire perché in quello di ‘Sentieri selvaggi’.

A dire il vero, sarebbe più logico in questo frangente mollare sulle teorie di Dugin, che fanno perno sull’assimilazione dell’Europa, quale condizione necessaria per la realizzazione del sogno imperiale della Russia, ed incentrare invece il dibattito su cosa fare per svegliare l’Europa dall’incantesimo liberista che la trattiene dentro la UE, impedendole di scorgere altra prospettiva che quella di doversi coprire in eterno con l’ombrello americano, e dall’essere nelle teorie di Dugin nient’altro che il complemento oggetto di un restyling della Storia concepito altrove.

Mi sovvengono, mentre scrivo, le parole di una famosa canzone di Branduardi ‘Alla fiera dell’Est’, che esalta l’implacabile circolarità delle cause e degli effetti, così che non posso esimermi dal far rilevare che per cambiare il destino dell’Europa si sarebbe giocoforza costretti a cambiare con delle robuste trasfusioni di midollo e di sangue la classe politica in ciascuno degli Stati che la compongono; che ciò non sarebbe possibile senza aver prima educato l’elettorato a compiere le scelte all’uopo più appropriate; che per ottenere questo risultato bisognerebbe aver preso le due bastiglie dell’evo contemporaneo, la scuola che trasmette solo i saperi autenticati dall’establishment – quando addirittura non trasmette proprio nulla, fruscii e fischi su tutta la linea – e i media che immergono l’uomo della strada nella realtà aumentata, tempestandolo di notizie false, delle foglie morte in balia di ogni soffio di vento.

Nel navigare su Facebook, inestricabile groviglio di vicoli e di vicoletti, fitto come una casbah, mi sono imbattuto in un vecchio frequentatore delle nostre parti che non capisce – e io con lui – per quale misterioso motivo l’infatuazione per Putin, e la speculare avversione per un personaggio sicuramente discutibile come Zelensky, abbiano raschiato via dall’animo di tanti compagni di viaggio la predisposizione naturale alla pietà verso il più debole, che in questo caso é rappresentato dalla povera gente d’Ucraina tormentata dai Russi, e non li abbiano resi persuasi del fatto che la feroce resistenza contro le armate di Putin riscatta, almeno in parte, l’Occidente e l’Europa dalla colpa di essere stati per anni il tempio del nihilismo, un gigantesco Gay Pride: paradossalmente, proprio quella che gli viene contestata dal signor Dugin.

Alla prossima.

 

Immagine: https://piccolenote.ilgiornale.it/

Torna in alto