APPROFONDIMENTI: Elezioni, l’opposizione che non c’è
Qui in Italia, tutto bene. Anche le prime elezioni al tempo del contagio sono passate e l’esito è chiarissimo: gli italiani sono contenti e soddisfatti di come vanno le cose, l’opposizione non c’è o almeno non si riesce a esprimere nelle urne. La presente non è un’analisi politica, tanto meno partitica o di schieramento. Si limita a fotografare uno stato d’animo confuso, un sentiment popolare che non lascia presagire nulla di buono. Erano in programma i rinnovi di diverse importanti amministrazioni regionali e il referendum confermativo della modifica costituzionale tesa a diminuire il numero di deputati e senatori. Ha vinto, quasi dappertutto, chi era già al potere. Battimani popolari a governatori, sindaci e ai promotori del taglio della rappresentanza. Ma sarà poi vero?
Innanzitutto, qualche numero. A parte il voto comunale, più partecipato, alle urne è andato poco più del 50 per cento degli aventi diritto. Da un lato, è un successo, al tempo del panico da virus ampiamente diffuso, ma dall’altro conferma quanto è chiaro da tempo: quasi la metà degli italiani non ha più interesse per la politica, o speranza di risolvere attraverso di essa i suoi problemi. Una sterminata platea di orfani di rappresentanza e di partecipazione. Gli altri sembrano soddisfatti dell’esistente e, in genere, confermano e ampliano la fiducia ai governanti. Il referendum confermativo vede un risultato assai ampio a favore – diciamo così- dell’antipolitica. Sette italiani su dieci – circa otto nel Sud della nazione – ratificano la legge che riduce di un terzo i parlamentari. Sembra un gran risultato, ma forse no: l’intero arco politico era schierato per il sì. Curioso e sospetto: fanno l’opposizione a se stessi. Il paradosso è che l’opposizione popolare al governo e all’andazzo si è manifestata attraverso il no.
Difficile da spiegare, ma un discreto numero di italiani ha compreso che il quesito referendario era, in buona parte, un inganno. La legge, infatti, già c’è e ha superato tutti e quattro i voti parlamentari prescritti: richiederne la conferma è sembrato a qualcuno – siamo tra quelli- il più classico degli inganni demagogici. Non a caso, l’iniziativa è targata 5 Stelle. Addirittura imbarazzante, poi, è stata la principale ragione addotta dai sostenitori del sì: meno parlamentari uguale più risparmio; un argomento doppiamente risibile, poiché uguale risultato si sarebbe conseguito riducendo gli emolumenti e le enormi spese generali dei parlamenti e per il fatto che non è granché sensato risparmiare sulla democrazia, nella quale tutti spergiurano di credere senza se e senza ma. Pochi hanno obiettato che a minore rappresentanza corrisponde maggior potere di lobby e poteri non eletti, ma si sa, si tratta di argomenti complessi, che non arriveranno mai alla massaia e alla maggioranza di un popolo che detesta i politici, salvo pretendere da loro favori e vantaggi, ma è convinto di essere migliore di loro. Una credenza falsissima e auto assolutoria: in psicologia si chiama “bias cognitivo”, un pregiudizio errato.
I politici italiani rappresentano assai bene il livello medio di noi tutti, un ex popolo carico di invidia sociale, egoismo e pressoché privo di senso civico. Certo, ad ascoltare e vedere all’opera certi parlamentari, l’istinto è quello di chiuderlo, il parlamento. A nessuno, peraltro, è venuto in mente di contestare l’assurdo di due camere che, indipendentemente dal numero dei componenti, fanno esattamente le stesse cose, con duplicazione di tutto, a partire dai costi, che paiono stare tanto a cuore all’opinione pubblica maggioritaria. Nessuno eccepisce l’anacronistico istituto dei senatori a vita non eletti, che possono modificare la volontà popolare votando pro o contro i governi, o il ruolo sempre più invasivo della presidenza della repubblica, della corte costituzionale, del CSM. Pochi, infine, rilevano che dalle ore 15 di lunedì 21 settembre, il parlamento è del tutto delegittimato, poiché la netta maggioranza del popolo, a cui, secondo i cartigli, appartiene la sovranità, ha stabilito che ben 345 deputati e senatori sono di troppo. In un regime normale, le camere sarebbero sciolte e rielette in base alle novelle del testo costituzionale. Le difficoltà tecniche, ovvero la riformulazione dei collegi elettorali, se esistesse la volontà, potrebbero essere risolte in breve da un software capace di ricalcolare i seggi su base territoriale. Favole, sogni di una notte di fine estate.
E poi, che bisogno c’è di elezioni, quando la realtà- fuori dalle interessate professioni di vittoria delle varie forze politiche – attesta che in Italia la gente è non solo soddisfatta di governanti e amministratori, ma addirittura felice. Non si spiegherebbe altrimenti il successo mostruoso- in altre stagioni si sarebbe detto bulgaro- del veneto Zaia a destra, e del campano De Luca a sinistra. La rossa Toscana trema lievemente, ma resta dov’è da mezzo secolo; regge il fortino pugliese di Emiliano, assaltato, in verità, più da stanche cariatidi della politica che da oppositori e si allarga il consenso per il ligure Toti, che almeno ha all’attivo la ricostruzione del ponte autostradale. Cambia proprietario solo la poltrona del presidente marchigiano. Troppo poco per la spallata auspicata dal centrodestra.
Il punto, ci sembra quello iniziale: dov’è l’opposizione, sociale, popolare e politica? La paura del contagio ci ha chiuso in casa e pare averci resi- come dire- governativi. Le desolanti prestazioni dei ministri a 5 Stelle hanno portato a un’altra rovinosa sconfitta il partito privato di Grillo e Casaleggio, divenuto rapidamente casta. Un amaro risveglio per i molti che avevano (mal) riposto la fiducia in un’armata Brancaleone di signori e signore nessuno, ma anche una speranza – un’altra- che se va. Il governo terrà, del resto non vi è stato alcun avviso di sfratto. Continuerà a non governare e la restaurazione proseguirà. Il PD, sconfitto nelle percentuali, ma indenne nella sostanza, avanza già le sue pretese: cancellare i decreti sicurezza di Salvini e via libera al MES.
Una parte degli italiani è d’accordo, specialmente tra i ceti di potere: immigrazionismo significa lucrosi affari, con in testa la chiesa migrante e soprattutto nuovo precariato, instabilità sociale, bassi stipendi. Alla faccia del popolo e dei lavoratori; significa anche meno sicurezza nelle città, un gran vantaggio per chi aspira a rinchiuderci a tempo indeterminato. Cancellati gli unici successi di Salvini, il solo politico a memoria d’uomo che ha lasciato il governo per farvi installare i suoi avversari mortali e ora paga il conto della sua imperizia anche in termini elettorali. Il Meccanismo Europeo di Stabilità ci renderà ancora più dipendenti dalle oligarchie di Bruxelles e dai poteri opachi, più indebitati e meno sovrani. Ma già, anche la breve stagione del sovranismo sembra accantonata. Dovunque, si afferma, a destra, al centro e a sinistra, un ceto politico “di sistema” refrattario ai cambiamenti, a sua volta intercambiabile, oggi qui domani là, senza fantasia, allineato al centro, che non è quello dell’equilibrio o della moderazione, ma dei grandi interessi costituiti, estranei alla vita quotidiana della gente.
Chi osservi con un minimo di conoscenza i movimenti tellurici degli eletti, si accorge che dovunque emerge e vince il partito trasversale degli affari, del mattone, della conservazione e riproduzione dell’esistente. Il ceto politico amministrativo si perpetua anche cambiando disinvoltamente casacca. In Liguria, il candidato più votato nella provincia di Savona del partito teoricamente più a destra è presidente del consiglio comunale della città di Albenga, eletto nel centrosinistra. Salto della barricata per nobili motivi o trasformismo? Nelle due grandi regioni meridionali amministrate dal centrosinistra, le liste a sostegno di De Luca e di Emiliano erano addirittura quindici. Sfidiamo qualunque elettore a spiegarci l’orientamento e la specificità di ciascuna. Più aspiranti consiglieri, più ampio il marketing del consenso clientelare, più aspra la battaglia delle preferenze, che si trasformano in voti per i governatori. Tecnica politica, bassa cucina, vincente strategia di mercato: scegliamo la definizione che più ci aggrada, ma non è politica, nel senso di progetto, idee, speranza, soluzioni ai problemi.
Non che a nord vada meglio: anche oltre al linea gotica, porte girevoli, corsa al centro, personalizzazione sfrenata. Il guaio è che funziona: vince chi già comanda. Dal Sacro Campano Impero di Vincenzo De Luca al Serenissimo Doge Veneto Luca Zaia primo e unico, il potere si rafforza oltre ogni aspettativa. Si ha persino l’impressione che i politici di vertice si siano divisi i territori e il loro litigare sia uguale alle finte risse dei ladri di Pisa. L’opposizione, dicevamo, non esiste e se c’è, non è pervenuta. Che significa, dunque? Forse gli italiani sono contenti dell’andamento nazionale? Certo, la drammatizzazione del Covid 19 – fenomeno non solo italiano- stabilizza i governi per la paura generalizzata, ma non abbiamo ascoltato voci di dissenso da parte dell’opposizione parlamentare sulla gestione della crisi, soprattutto sono mancate le proposte alternative. Al dunque, la gente sceglie di tenere in piedi quel che c’è, se nessuno leva la voce. I pochi che hanno contestato le politiche in tempo di contagio sono stati tacciati di irresponsabilità, chiamati negazionisti, additati al ludibrio popolare.
E tuttavia, non è vero che gli italiani siano felici: rassegnati forse, indifferenti, sempre di più, ben poco riflessivi, certamente. Ma nessuno ha proposto loro qualcosa di diverso dall’esistente. Le cento sfumature di grigio sono rimaste tali. L’universale liberista, declinata in tutte le tonalità, dal rosso fuscia al giallo, dal bluette al verde pallido, vince per k.o tecnico in assenza di avversari. La sanità continuerà l’opera di privatizzazione, il lavoro sarà sempre più precario e i disoccupati aumenteranno. L’ordine pubblico sarà una chimera e gli immigrati irregolari – ribattezzati richiedenti asilo – continueranno a vivere da mantenuti e i peggiori tra loro a spadroneggiare. Le tasse non diminuiranno, i risparmi – per chi li ha – saranno sempre più insicuri. I giovani continueranno a fare “lavoretti” – la gig economy di sussistenza- ma si dirà che sono diventati imprenditori di se stessi. Le banche avranno sempre più potere, i giganti fintech non pagheranno le tasse, a differenza di pensionati e pedicure, Big Pharma ci venderà a caro prezzo intrugli di cui non conosceremo mai gli effetti e noi porgeremo contenti il braccio al chip sottocutaneo prossimo venturo.
Bruxelles, Francoforte, Washington, ma anche Pechino e, ovviamente, i mercati sostituiranno sempre più Roma, il parlamento e il popolo nella sovranità. Tutti continueranno a giurare, mano sul cuore, di amare l’Italia, ostenteranno il tricolore più di prima, ma nessuno farà politiche a favore del lavoro, della famiglia e della natalità, senza le quali l’Italia muore per estinzione biologica. Accadde così a anche a Bisanzio: esangui intellettuali discutevano del sesso degli angeli, potenti corrotti proseguivano nelle loro mene e intanto arrivavano i turchi. Questo sconcerta del presente: la gaia indifferenza con cui corriamo verso l’abisso, ma ciascuno pensa solo al suo “particulare”, che, nelle circostanze presenti, quelle del coronavirus misura di tutte le cose, non è altro che la pellaccia.
Viviamo nel migliore di mondi possibili, l’unico. Gli oppositori, i dissidenti, sono probabilmente la “trascurabile maggioranza”. Però non contano nulla, ostaggi di caste economiche, politiche, giornalistiche, giudiziarie eccetera. In più, sono divisi su tutto, sconcertati, litigiosi come i capponi di Renzo, finiti nella pentola dell’avvocato Azzeccagarbugli. Perché chiedere alle elezioni, innocua conta interna tra gruppi di potere uniti nell’essenziale, il miracolo di cambiare le cose?
Dalle Alpi a Lampedusa, viva l’Italia dei governatori e dei referendum per le allodole. Andrà tutto bene, anzi sta già andando per il meglio. Il gregge segue ed applaude i servi pastori, il gatto si morde la coda e non sa che la coda è sua.