APPROFONDIMENTI: La cancellazione della memoria
Se avessimo la capacità di elencare e descrivere tutte le modalità di decostruzione dell’umano in atto nella post modernità, dovremmo compilare un’enciclopedia senza fine. Il laboratorio per la distruzione, come lo chiamava l’antropologa Ida Magli, l’officina di Vulcano anti umana e transumana, lavora h.24, non va mai in ferie e si pone ogni giorno nuovi obiettivi, vincendo le sue ignobili battaglie per assenza di contraddittorio nell’Occidente in bilico tra il tramonto e la notte.
Uno degli obiettivi del nemico è la cancellazione della memoria. Traiamo la sua definizione da Wikipedia, la Bibbia globalista politicamente corretta: “la memoria è la funzione psichica e neurale di assimilazione, attraverso dati sensibili provenienti dall’ambiente esterno mediante fattori percettivi quali gli organi di senso, e l’elaborazione di questi dati attraverso la mente e il cervello sotto forma di ricordi ed esperienza al fine dell’apprendimento, dello sviluppo dell’intelligenza e delle capacità cognitive, psichiche e fisiche dell’individuo. “Il più diffuso criterio di classificazione si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, con l’identificazione di tre tipi diversi di memoria: la memoria sensoriale, la memoria a breve termine (MBT) e la memoria a lungo termine (MLT).
Rimaniamo sul terreno della neurofisiologia e della biochimica: ai fini della memoria, operano due distinte fasi di modellazione delle sinapsi (le connessioni funzionali tra due cellule nervose o fra una cellula nervosa e l’organo periferico di reazione). L’ MBT ricorre all’ausilio di proteine preesistenti, per modificare in maniera temporanea l’attività sinaptica, mentre l’MLT ha bisogno dell’attivazione di geni e la sintesi di proteine nuove. Questo significa – al di là di ogni giudizio etico, culturale ed antropologico – che chi ci espropria della memoria, chi atrofizza questo straordinario strumento di apprendimento, vita e conoscenza, sta agendo per distruggere una delle principali facoltà umane, cancellare una parte della nostra umanità e della nostra individualità. Abolire, manipolare, diminuire la memoria è dunque un crimine contro l’umanità e l’integrità della persona. Già Cicerone osservava che la “memoria diminuisce se non la tieni in esercizio”.
Perdonerà il lettore l’elaborata premessa, necessaria ai fini delle riflessioni che seguono. I ladri di memoria, purtroppo, sono al potere: culturale, scientifico, accademico, tecnologico. Uno di loro è Manuel Castells, ispano-americano, sociologo di formazione marxista, autore della trilogia La società dell’informazione, uno dei maggiori studiosi dell’età delle reti e del potere di Internet. Castells, giunto all’alba della terza età (è del 1942) è ora ministro dell’Università nel governo spagnolo. La sua più recente affermazione, ripetuta durante un’intervista a canali internazionali e ribadita in incontri con i docenti del suo paese, è che “la memoria ha sempre meno senso nell’istruzione poiché tutto è in Internet. “
Dunque, non ha alcuna importanza “accumulare informazioni” e chiede ai professori di trasformarsi in “guide intellettuali del processamento dell’informazione “, ossia del trattamento automatico di dati da parte di un computer. Triste fine dei maestri e degli educatori, declassati a semplici istruttori della raccolta informatica delle nozioni, a cui sono declassati la conoscenza, l’istruzione, il sapere. Castells va oltre e ripete vecchi slogan ammuffiti del Sessantotto, generazione alla quale appartiene: “Non è importante accumulare informazioni (a questo è ridotta la cultura N.d.R.), né ripetere come pappagalli, poiché l’informazione diventa obsoleta in pochissimo tempo, bensì sviluppare la capacità autonoma dello studente di processare informazioni, innovare e applicarle a quei campi che intende sviluppare da sé. “
Puro distillato del Sessantotto, con la stravagante teoria dell’auto apprendimento, aggravata dalla fiducia illimitata nel dispositivo tecnico e dal disprezzo per il ruolo degli educatori, ridotti a tutor dei motori di ricerca, nonché dall’indifferenza per la cancellazione di millenni di cultura/civiltà (pardon, informazioni…), la cui persistenza e trasmissione è affidata proprio alla memoria. Quella individuale e quella collettiva, che diventa storia, deposito comune, cultura nel senso più ampio del termine. Contrordine: bastano un computer o uno smartphone e la perizia nella ricerca.
L’era digitale diventa – banalmente – quella delle dita che battono sulla tastiera, guidate dalla memoria a breve termine, orientate dalla nuova Bibbia, il motore di ricerca che sceglie per noi, nasconde ciò che il Dominio disapprova o vuole celare e impone una patina di conoscenza immediata, superficiale e preordinata. La memoria a lungo termine diventa il deposito dell’obsoleto, dell’inutile, un cestino dei rifiuti da svuotare ogni giorno e chiudere per cessata attività. E’ l’impero di Google e della pagina iniziale di ogni ricerca, a cui si attiene oltre il novanta per cento degli utenti.
Esercitare la memoria, trattenere le “informazioni”, il cui destino è la rapida obsolescenza, sarebbe quindi un futile esercizio animale – da pappagallo- e la sapienza consisterebbe non nel padroneggiare le materie, ma nella perizia nel rintracciare i dati. Oltretutto, le ricerche su Internet, per avere un senso, devono essere sostenute da qualcosa che si sa già, che si è metabolizzato e inserito, con tanto di giudizio e spesso con fatica, nella cartella interiore che contiene tutti i file della MLT. Altro che pappagalli e merli parlanti. La memoria è il salvadanaio dello spirito, va custodita, alimentata, trattata con amorevole cura.
Viene in mente un intellettuale comunista, Dario Fo, che la pensava assai diversamente da Castells. Nella rigida semplificazione marxista, scrisse che il padrone conosce mille parole e l’operaio trecento: perciò è il padrone. L’ignoranza va quindi contrastata con la conoscenza, e la cultura – di cui la memoria è un elemento decisivo- è l’unico valido ascensore sociale e la sola possibilità di vivere da uomini e non da automi servili. Una volta di più, la diabolica alleanza tra i padroni del mondo – che possiedono i canali di diffusione culturale e la tecnologia informatica che li amplifica- e l’intellettualità post marxista è la tenaglia che schiaccia popoli e individui.
Il doppio binario dei decostruttori desta indignazione. Per la maggioranza, la memoria è e smantellata attraverso un’istruzione sempre più scadente, tra follie come la didattica a distanza (DAD) e scuole trasformate in fabbriche di diplomi e lauree. Gli altri, i predestinati a dirigere la società per censo, cooptazione e tradizione familiare, ricevono un’istruzione di ben altro livello in cui le materie abolite o sconsigliate alla massa (storia, geografia, filosofia, diritto, persino l’eloquenza) continuano a far parte del bagaglio intellettuale. La memoria non è un inutile orpello, ma il primo strumento della conoscenza.
Abolire la memoria a favore dell’informazione spicciola, ridotta a “abstract”, l’estratto degli apparati informatici, è un’operazione profondamente classista, che riproduce e rafforza il potere di chi è padrone di tutto. Se ci esprimessimo con il linguaggio dei banditori della Memoria Informatica a Brevissimo Termine, diremmo che è “di destra”. Sapere è potere: inevitabilmente ha a che fare con lo studio, la fatica, la costanza, la memoria. Conoscete un fisico o un matematico che – con grande sforzo- non abbia memorizzato formule e teoremi, compresi in genere solo dopo averli faticosamente ritenuti nella memoria, interiorizzati? Si possono imparare le lingue con una passeggiata virtuale su Internet, oppure occorre la lenta elaborazione mnemonica delle regole grammaticali, sintattiche e lessicali?
Da tempo si aborre lo studio a memoria di poesie e o passi letterari: doppio errore. Da un lato, si impedisce alla mente di allargarsi attraverso la fissazione nella MLT (che è sempre elaborazione individuale, non semplice processo automatizzato!) di eccellenze culturali, dall’altro si impedisce un esercizio che aumenta le nostre possibilità: la funzione crea l’organo. Il musicista, l’artista, ma anche l’artigiano e l’operaio, acquisiscono le loro abilità- manuali o intellettuali- attraverso un processo in cui la memoria ha un posto determinante, fino a diventare qualcosa di già dato, una sorta di automatismo figlio dell’accumulo di saperi, gesti, meccanismi introiettati nel tempo, fissati nella memoria.
Il fondatore dell’antropologia filosofica Arnold Gehlen parlò di “esonero”, ovvero della capacità dell’uomo di liberarsi dall’ eccesso pulsionale attraverso la cultura L’esonero è l’onere da cui la nostra specie viene liberata acquisendo modalità di azione che selezionano che cosa fare e come farlo. Un agire esonerato diventa sicuro, stabilizzato, quasi istintivo; gli atti complessi vengono svolti pressoché in automatico- pensiamo alla guida di un automobilista esperto – permettendo l’impiego delle energie per scopi superiori, ad esempio guidare e insieme conversare con i compagni di viaggio. Senza memoria, non c’è esonero, ossia l’homo sapiens cessa progressivamente di essere tale.
La nostra convinzione è che quello sia l’obiettivo finale del Dominio: di decostruzione in decostruzione, l’uomo diventa a sua volta meccanismo, attivato da remoto in base a riflessi condizionati e all’apprendimento di gesti strumentali eterodiretti. L’insegnante, il maestro di ieri, diventa un semplice istruttore dei comportamenti voluti dall’oligarchia, come utilizzare lo schermo e la tastiera degli apparati informatici per compiere qualsiasi atto, prendere ogni decisione, elaborare conoscenze da dimenticare in fretta in omaggio all’obsolescenza cara a pessimi maestri.
La natura delle istruzioni impartite è lo specchio della volontà del potere teso a cambiare l’uomo attraverso la sua “denaturazione”, ossia l’allontanamento dalla natura e dalle facoltà che gli ha attribuito. Una è la memoria selettiva, che permette di conoscere, ricordare, compiere scelte autonome, possedere criteri di giudizio. Senza, siamo ostaggi di un falso sapere filtrato dai padroni della tecnologia, coloro che ordinano gli algoritmi attraverso i quali la rete (chi la controlla) distilla le conoscenze ammesse, le idee giuste e quelle proibite.
Non c’è pensiero critico senza selezione dei contenuti e tale selezione è impossibile senza memoria. Fu straordinaria l’intuizione di George Orwell sul totalitarismo che impedisce il dissenso abolendo il linguaggio attraverso cui esso si esprime. Fare memoria significa ricordare eventi storici, trasmettere principi, fatti, idee. Anche l’arte è memoria: chiunque abbia uno spirito non addormentato avverte la differenza tra una cattedrale gotica e la triste chiesa- cubo dell’architetto alla moda Fuksas a Foligno. Quella simil-chiesa non sarebbe stata costruita se avessimo conservato la memoria dello spirito, l’idea che un edificio assolve una funzione e suscita dei sentimenti.
Perdere la memoria significa dover accettare tutto e il suo contrario in nome dell’oggi e sulla base della volontà insindacabile dei padroni che l’hanno espropriata. Senza memoria, l’uomo è una tabula rasa, una lavagna che cancella mentre vi si scrive. Non esisterebbe la tradizione orale: nessuno ci avrebbe trasmesso Omero e tutte le culture avrebbero smarrito i loro fondamenti. Ecco perché l’operazione di asportazione della memoria – spacciata come cultura rinnovata in linea con i tempi – è un colossale imbroglio, un furto terribile a danno di tutti e di ciascuno, dei viventi e di chi nascerà in un mondo snaturato e smemorato.
Il nostro destino non è Alexa, o Siri, suadenti voci virtuali, assistenti informatici che sostituiscono la vita reale. Sgomenta la plasticità, la docilità dell’uomo-gregge al nuovo destino. Ma già, anche Dante è fuori moda e nessuno ricorda più a memoria (“a pappagallo”) “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
La più grande creazione del pensiero astratto, diventata base pratica di ogni scienza, è la matematica. Senza la memoria, senza l’applicazione di geniali visionari non avremmo il numero, il calcolo, architrave della capacità di dominio sulla natura di cui andiamo tanto fieri. Ma anche l’esercizio del calcolo matematico è obsoleto: in pochi attimi, i problemi sono risolti in rete dall’apposito programma algoritmico, e la tragedia è dimenticare che ciò è possibile poiché qualcuno non ha “processato dati”, ma li ha immaginati, inventati, sottoposti a verifica, mandati a memoria e offerti al prossimo come patrimonio comune.
Il signorino ignorante è soddisfatto di sé perché sa maneggiare alcuni apparati, ma ignora i fondamenti, le leggi, l’enorme accumulo di memoria, conoscenza, trasmissione che ne hanno reso possibile l’esistenza. La battaglia “per” la memoria è dunque una lotta tesa a conservare le capacità, le scintille divine che hanno reso homo sapiens sapiens la scimmia nuda e quasi priva di dotazione istintuale. Il declino della memoria, la sua sostituzione con il dispositivo rappresenta altresì la negazione della scienza e la vittoria della dipendenza dalla tecnica. Per ciascun uomo, la memoria è la miniera da cui scegliere e poi estrarre conoscenze e idee nei vari momenti della vita.
La letteratura distopica ha prefigurato il raccapricciante mondo privato della memoria. Fahrenheit 451 descrive un tempo in cui compito dei pompieri è di bruciare i libri, il deposito di tutto ciò che è stato detto, fatto, vissuto, pensato. Il ribelle, Guy Montag, è colui che tradisce il suo ufficio e conserva, nei libri, la memoria. Nel Dio Thoth, Massimo Fini prefigura un mondo in cui esiste solo ciò che è diffuso dall’altoparlante del potere e nella biblioteca universale non si trova più l’Amleto di Shakespeare, ma solo riassunti o brevi citazioni, nascoste tra miliardi di dati inutili: la distopia della riduzione, il Bignami universale che nasconde e non spiega, il simulacro della memoria. Per lo psicologo cognitivo Alan Baddeley, studioso della memoria, essa è “la capacità di immagazzinare informazione e di avere accesso ad essa. Senza la memoria saremmo incapaci di vedere, udire e pensare. Non avremmo un linguaggio per esprimere la nostra situazione e di fatto neppure un senso della nostra identità personale. “Questa è la posta in palio, questo ci stanno rubando.
Pure, accanto alla memoria, sussiste nell’uomo una spinta naturale alla selettività del ricordo, una necessità dell’oblio di ciò che diventa zavorra. Eugenio Montale chiedeva di dare tempo alla memoria per compiere il suo primo e più impellente ufficio: dimenticare. Per Jorge Luis Borges, la memoria, oltre un certo limite, è un dramma, un aspetto del labirinto della vita. Nel libro Finzioni vi è il racconto Funes o della memoria, la storia di un uomo la cui prodigiosa memoria gli permette di cogliere e rammentare ogni dettaglio di tutto ciò che lo circonda. Funes rammenta ogni cosa, ma non è in grado di formulare idee generali: registra solo particolari e non concetti compiuti. Questa condizione lo conduce all’isolamento, all’incomunicabilità e alla morte.
“Sospetto che non fosse molto capace di pensare. Nel mondo sovraccarico di Funes, non c’erano che dettagli, quasi immediati”. E’ questa la grandezza dell’uomo: scegliere, accogliere e tralasciare, ricordare e dimenticare. Se la nostra condizione è il labirinto, l’esito di un uomo smemorato, dipendente dagli apparati e dall’attimo, è la mancanza di pensiero. Uguale e contrario al povero Ireneo Funes, “il memorioso”.