APPROFONDIMENTI: Rave Party – nichilismo e potere

 

APPROFONDIMENTI: Rave Party – nichilismo e potere

Uno stupido è uno stupido; due stupidi sono due stupidi. Diecimila, sono una forza storica. L’ aforisma attribuito a Leo Longanesi è il primo pensiero che viene in mente a proposito del “rave party” della Tuscia di cui sono piene le cronache. Tuttavia, non basta a spiegare i fatti e tantomeno il clima generale in cui eventi come quello possono avere luogo, mobilitare migliaia di giovani e determinare gravi conseguenze.

Occorre dire le cose come stanno, consapevoli del proverbio secondo cui “quando vuoi dire la verità, tieni pronto un cavallo e preparati a scappare.” Oggi più di ieri. Iniziamo dai nudi fatti: per circa una settimana, un numero di giovani variabile tra gli otto e i diecimila si è riunito in una vasta area –una zona naturalistica protetta – della campagna viterbese per un “rave party”.

Serve una spiegazione. I rave party – la traduzione è “feste del delirio” e basta a dare conto di che cosa si tratta e di che vi accade – sono manifestazioni musicali autogestite dall’accesso libero e gratuito. Sono caratterizzate dal ritmo incalzante, assordante, teso ad abbattere le difese cerebrali e culturali dei presenti, della musica techno, goa, acid house (!!!) jungle, e psy-trance (che bellezza!), nonché da bizzarrie di ogni genere e giochi di luce psichedelici. Un lungo happening figlio delle follie “situazioniste “del Sessantotto. La durata è variabile, da un giorno a una settimana. Finiscono quando nessuno ce la fa più, stremato, privo di forze e di denaro, poiché i rave sono anche commercio di tutto (gli affari sono affari!).

Trascinati dalla musica a centinaia di decibel, l’obiettivo è fuoriuscire da se stessi tra stravizi, droghe, eccesso di luci e suoni, scatenamento degli istinti, in primis quelli sessuali e primordiali. In termini psicanalitici, è il trionfo dell’Es (la voce intrapsichica degli impulsi   inferi) sull’Io e sul Super Io, l’interiorizzazione dei codici di comportamento, dei limiti, degli schemi di valore. E’ anche la cancellazione del Sé descritto da Carl Gustav Jung, il principio interiore di guida, distinto dalla personalità conscia.

Tanto premesso, è evidente che non è possibile trattare i rave party– ripetiamo, feste deliranti– come un fenomeno giovanile o peggio come una mera questione di ordine pubblico. Perfino Wikipedia, Corano del globalismo politicamente corretto, ammette che i rave “si pongono in contrasto con l’ordinata convivenza civile. Sono infatti solitamente non autorizzati e portano con sé la commissione di illeciti civili, amministrativi e penali: invasione di proprietà private; danneggiamenti; disturbo della quiete e del riposo delle persone; possesso, compravendita e consumo di sostanze stupefacenti.”.

Aggiungiamo stupri, risse, autolesionismo nella più sconcertante indifferenza e promiscuità. Una valvola di sfogo che il potere finge di deprecare, ma che al contrario consente e – segretamente – approva. Nel caso viterbese, il primo bilancio parla di un morto – più probabilmente due – un giovane in preda agli stupefacenti caduto nel vicino lago di Mezzano; almeno due stupri accertati, un numero imprecisato di coma etilici e di overdose di ogni droga liberamente compravenduta. In più, il parto di una giovane che il nono mese di gravidanza non ha dissuaso dal raggiungere la Tuscia. Per quanto riguarda i danni materiali all’agricoltura, all’ambiente, alla fauna locale, i detriti, i rifiuti e i liquami lasciati sul campo, ci vorranno giorni per valutare e ripulire. Il conto è a carico nostro.

Le prime ovvie considerazioni sono di indole pratica.  Dov’era il potere pubblico, ignorava che diecimila persone stavano affluendo da ogni dove in assenza di regole e controlli, non sapeva che viaggiavano Tir giganteschi con i materiali per l’installazione di palchi, strumenti, e tutto ciò che accompagna i concerti di massa? Non aveva notizia della mobilitazione di spacciatori e dell’arrivo di rivenditori di tutto – il rave è un ottimo affare e molti hanno la partita IVA– né sospettava che nessuno avrebbe osservato qualunque regola civica, non diciamo si sarebbe munito di passaporto vaccinale e rispettato il canonico distanziamento sociale.

Tutto questo per giorni e giorni, mentre lavoravano a pieno ritmo i pronto soccorso degli ospedali di Umbria, Toscana e Lazio. Inevitabile che tra i ricoverati ci sia qualche positivo al Covid e c’è chi ipotizza focolai infettivi (anche di epatite e altro) provocati dalla promiscuità e dal caos di un delirio programmato, perseguito, ammesso come obiettivo e movente dei partecipanti e degli organizzatori, che hanno nomi e cognomi, o se preferite profili Facebook, account su Twitter e Instagram. Se certe cose accadono nonostante tutto, è perché qualcuno vuole così, ossia il potere è ben lieto di avere masse giovanili senza spina dorsale, manipolate, con una percentuale, ahimè, di autentici decerebrati.  Una manna per i politici e soprattutto per i padroni del vapore. Immaginate i reduci dai rave party diventati adulti, padri, madri, membri attivi della società: l’incubo si avvicina. 

Negli stessi giorni, la grancassa televisiva ci ha informato dell’enorme numero di controlli a carico di cittadini, turisti, commercianti per scoprire e sanzionare i pericolosi criminali senza mascherina davanti a un caffè nei bar o sprovvisti del magico green pass. La sproporzione è evidente. La verità è che il potere non solo è intrinsecamente malvagio, forte con i deboli e le persone comuni quanto debole, infingardo e permissivo con i veri criminali e i portatori dell’incultura dello sballo, ma è connivente, complice attivo e sfruttatore finale del degrado. Lorsignori creano o amplificano un problema, poi offrono – a cose fatte, con una finta indignazione che non produce repulsione nei cittadini- la soluzione, dietro la facciata di falsa tolleranza. E’ il potere che permette eventi di questo tipo, valvole di sfogo per masse cretinizzate. E’ il potere che in sessant’anni di distruzione programmata ci ha resi quel che siamo, sino a renderci contemporaneamente terrorizzati da un virus e schiavi di fenomeni che i nostri nonni avrebbero chiamato follia.    

Non dimentichiamo che i partecipanti ai rave party, come i dipendenti da alcool e droghe sono i nostri figli, siamo noi stessi, i nostri amici e conoscenti. Il male non è lontano, ha superato il confine e si è insediato dentro di noi. Nel caso di Viterbo, un atteggiamento fermo- di divieto e di sgombero- avrebbe avuto la disapprovazione della parte più sciocca e gregaria dell’opinione pubblica. Gli stessi che tuonano contro i cosiddetti “no vax“ (menzogna a partire dalla definizione spregiativa, degna della legge Mancino ) , che propongono le pene più spropositate e la gogna sociale per i non credenti della narrazione covidiana, avrebbero attaccato la repressione, il divieto opposto al raduno, invocato senza arrossire la libera scelta individuale, ossia il diritto di drogarsi, ubriacarsi, gettare via la giovinezza e la dignità, sballare al suono esacerbato di musiche e tra luci pensate per abbattere la razionalità e la padronanza di sé. Qualche ragazza stuprata, decine o centinaia di coma etilici e drogati marci, migliaia di strafatti vaganti sotto il sole di ferragosto, magari per cadere nel lago? Semplici danni collaterali.

Per questo, non possiamo essere d’accordo con l’interpretazione deprecativa moralistica e piccolo borghese. Oltre l’inazione governativa e la deriva nichilista di ingenti masse giovanili c’è di più.  E’ il fallimento pratico, gigantesco, irrecuperabile, del modello civile, sociale, antropologico, economico diffuso a partire dagli anni 60. Oppure- al contrario- il suo travolgente successo che ha capovolto principi e valori, ribaltato generazioni, travolto come un caterpillar tutto ciò che era solido, positivo, “civile”. E’ l’alleanza tossica tra il capitalismo borghese e il marxismo depurato dalla giustizia sociale distillato dalla scuola di Francoforte in Europa, poi in America e da lì riesportato sulla scia dell’american way of life e delle armi statunitensi, peraltro incapaci, prima in Vietnam, poi in Iraq e ora in Afghanistan di trasmettere quel modello avvelenato a popoli in possesso di dignità e tensione spirituale.

Dagli anni Sessanta, per timore di generazioni che si stavano avvicinando al marxismo poiché disprezzavano il deserto morale, l’ipocrisia, il tornaconto e il profitto come unici valori ammessi, il potere ha serrato le fila, ha finto di accogliere le istanze della contro cultura avanzante, l’ha assorbita e uccisa come fa l’abbraccio della mantide dopo l’accoppiamento. Ci hanno liberato delle “inibizioni”, hanno posto sul piedistallo l’istinto, innalzato un finto primitivismo naturalista a uso di generazioni diseducate scientemente. La sottocultura giovanile di allora è diventata cultura ufficiale. Pensiamo alla musica che produce lo sballo e l’esplosione deli istinti. Già era tutto chiaro a Woodstock nel ferragosto 1969, le giornate di “pace, amore e musica”, il festival dei “figli dei fiori” accompagnato da quantità enormi di cannabis e di LSD, l’acido lisergico sintetizzato in laboratorio e diffuso da cattivi maestri che – si seppe dopo- erano al servizio della CIA.

Da allora cambiò la musica, il rock, ma cambiò soprattutto il costume: il timore era che i giovani pensassero e si ribellassero davvero. Meglio imbottirli di pasticche, educarli alla trasgressione come nuova normalità, promuovere l’uso di droghe (ci si guadagna moltissimo, oltretutto, e i santuari non si trovano nei cartelli sudamericani, ma nelle stanze della finanza e nei paradisi fiscali). Meglio rendere inoffensive generazioni intere spezzando il filo con la famiglia e la comunità (l’odio per il padre e l’autorità), promuovendo un individualismo esasperato ed animale in cui tutto diventa da capriccio desiderio, da desiderio diritto e poi obbligo, pena l’esclusione sociale.

Quanti dei giovani del rave hanno davvero ascoltato la musica, quanti hanno seguito le esibizioni estemporanee, gli happening di sedicenti artisti, quanti, invece, sono arrivati attirati da giornate di sballo, allucinazione, libero sfogo agli istinti? Tutto a pagamento, sia chiaro, tanto è vero che a migliaia hanno abbandonato l’accampamento dopo aver svuotato il portafogli, riempito da mamma e papà. Chissà se il fiorente commercio (clandestino? Ne dubitiamo) del rave accettava pagamenti con carta di credito.

Sessant’anni di lavoro instancabile: il frutto dell’albero preparato negli anni 60 e 70 è giunto a maturazione, ed ecco che cosa è diventato l’Occidente, ecco chi sono le sue avanguardie giovanili, nomadi transumanti tra un rave party e uno sballo, orientati dall’alto dai burattinai e, in basso, lasciati vagare da un potere inflessibile con gli onesti. Droga, sesso e rock and roll era lo slogan liberatorio degli anni Settanta, quelli dell’inno nichilista di John Lennon, Imagine. Credono di avere inventato cose nuove, ma è il corrispettivo del “panem et circenses” dei romani. Qualche soldo in tasca per le esigenze elementari (oggi è il reddito di cittadinanza) e spettacoli.

Guy Debord fu il primo a capire che la nostra è (in)civiltà dello spettacolo. Realisti, i Borbone delle Due Sicilie parlavano delle tre effe – feste, farina e forca- ovvero adombravano anche il castigo. Ci stiamo tornando, anche se le forche per ora sono mediatiche, culturali, fatte di menzogne, diffamazioni, esclusioni. Spicca, ma non indigna abbastanza il callido cinismo di un potere nemico, che sguazza nel fango e finge di essere spiazzato da eventi come i rave party. Avranno avuto la stessa cura di filmare, piazzare telecamere, fotografare i presenti, come con chi protesta contro le restrizioni da Sars Cov2? Non è possibile che non sappiano tutto su chi ha organizzato l’evento, chi ha messo a disposizione strumenti tecnici e materiali, chi ha convocato i giovani attraverso le reti sociali. Non vivremmo nell’era del capitalismo della sorveglianza (Shoshana Zuboff).

Dunque, evitiamo moralismi da operetta e non mettiamo sul banco degli accusati i giovani: sono quelli che noi abbiamo voluto che fossero. Nessuna ipocrisia e nessun pianto sul latte versato. Noi abbiamo finto “una vita spericolata”, noi ci siamo entusiasmati per un mondo senza paradiso e senza inferno, dove si vive solo per l’oggi, senza nulla per cui vivere o morire. E’ il testo di Imagine, la canzone culto di John Lennon, colonna sonora di mezzo secolo di dissoluzione.

Abbiamo offerto modelli diversi da quelli del delirio rave? No, abbiamo demitizzato, decostruito, ridicolizzato. E’ come se da mezzo secolo in Occidente si seminasse solo gramigna. Al momento della mietitura il grano è scomparso, soffocato dalla zizzania coltivata consapevolmente. Chi ha orecchi, intenda. Inutile e insensato attaccare gli effetti e i loro protagonisti ma non le cause, come è un falso obiettivo esigere spiegazioni al governo, rappresentante degli interessi di chi ci ha ridotti al peggiore nichilismo.

Non ci resta che citare Marx e il Manifesto del Partito Comunista allorché svela la natura rivoluzionaria del capitalismo, confuso con la borghesia. Dovunque ha preso il potere, ha spezzato senza pietà tutti i legami che univano l’uomo alla dimensione superiore, “non lasciando in vita nessun altro legame tra uomo e uomo che non sia il freddo interesse, il gelido argent comptant. La borghesia ha fatto affogare l’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, il sentimentalismo nelle acque ghiacciate del calcolo egoistico. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio”.

Se il liberalcapitalismo in versione globalista ritiene utile per i suoi scopi (il dominio più del denaro, che possiede in quanto lo crea!) che i popoli siano ridotti a masse cretinizzate in preda al capriccio, all’istinto, inventa e diffonde la cultura della droga, dello sballo, perverte l’arte (la musica ne è l’espressione più evidente). Chiama tutto questo libertà e liberazione. Possiede tutti i mezzi, è riuscito a convincere, o meglio a degradare la maggioranza, renderla inconsapevole, prigioniera di desideri e piaceri volgari, immediati. Non è strano, quindi, che si facciano impunemente i rave party, ma se ne deprechino gli esiti, ipocritamente, a cose fatte, con la contabilità dei drammi personali, di giovani vite gettate, rovinate o degradate.

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Bisogna ragionare senza fermarsi alle apparenze: facile condannare i ragazzi perduti nei deliri rave; più difficile attaccare alla radice il sistema che li ha prodotti e di cui sono vittime inconsapevoli. Un docente ci ha espresso stupore poiché ottimi studenti universitari ignorano il significato della parola virtù. Non è strano: le virtù – la disposizione a fuggire il male e fare il bene, perseguito come fine a sé stesso, fuori da ogni considerazione di premio o castigo – sono state capovolte. Hanno rovesciato la clessidra e ogni cosa si valuta al contrario.

Alasdair Mc Intyre ha intitolato Dopo la virtù il suo testo fondamentale. Per lui, unica possibilità è creare gruppi di personalità consapevoli, i ribelli veri, i primi adepti di un nuovo monachesimo civile, fuochi di rivolta ideale, di luce spirituale e integrità morale come nel Medioevo, allorché, dopo il crollo dell’impero romano, tra i barbari, nel mezzo del tracollo demografico, civile, economico, Benedetto da Norcia recuperò la sapienza antica e formò le generazioni che avrebbero poi costruito l’Europa, nel lavoro e nella spiritualità. Costruiva, a differenza del potere di oggi. I rave party, le feste deliranti, sono soltanto il momento estremo del nichilismo alimentato dal potere. Dobbiamo fare, dobbiamo essere il contrario: dopo la virtù, nuovamente la virtù.

 

Immagine: https://www.pisatoday.it/

Fonte: https://www.maurizioblondet.it/

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