APPROFONDIMENTI: se l’Aifa autorizza il trattamento farmacologico per la Disforia di Genere

 

APPROFONDIMENTI: se l’Aifa autorizza il trattamento farmacologico per la Disforia di Genere

È notizia recentissima che l’iter per l’introduzione degli analoghi del GnRh (i cosiddetti “bloccanti della pubertà”) nell’elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN potrebbe essere giunto alla fine, a meno che il governo non ne fermi la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Attualmente la Triptorelina, farmaco già utilizzato nel carcinoma della prostata e della mammella, ma anche nei casi di pubertà precoce, gode di un uso “off label” per quanto riguarda i casi di  “disforia di genere”; i primi a utilizzarlo sono stati i medici del reparto di medicina della sessualità e andrologia dell’ospedale fiorentino Careggi, cui si sono aggiunti nel tempo i pareri favorevoli dei presidenti della Società Italiana di Endocrinologia, Paolo Vitti, della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, Alberto Ferlin, della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Stefano Cianfarani e dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, Paolo Valerio, tutti firmatari della richiesta ad Aifa dell’estensione della prescrivibilità della Triptorelina.

Alessandra D. Fisher, afferente alla SOD di Medicina della Sessualità e Andrologia (coordinata da Mario Maggi), dichiara: “Numerose evidenze scientifiche mostrano come la sospensione della pubertà indotta dalla Triptorelina in casi selezionati e attentamente seguiti di adolescenti con Disforia di Genere sia in grado di ridurre in modo significativo i problemi comportamentali ed emotivi e il rischio suicidario, nonché di migliorare il funzionamento psicologico generale”.

Ma è davvero così?

Il 13 luglio del 2018 il Comitato Nazionale per la Bioetica, invitato da Aifa a esprimersi nel merito, ha sottolineato come la  questione  della rimborsabilità e della relativa inclusione nell’elenco istituito ai sensi della L. 648/96 non risolve nessuna delle problematiche etiche sollevate dal medesimo CNB: al momento l’utilizzo del farmaco per la disforia di genere negli adolescenti è caratterizzato da incertezza, in quanto non  esistono studi di sicurezza e dati sufficienti di follow-up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti  collaterali a breve e a lungo termine; non risulta  sufficientemente provato se l’interruzione della pubertà fisiologica  possa  avere conseguenze negative sulla crescita, sulla struttura scheletrica, sull’apparato cardio-vascolare, neurologico-cerebrale e metabolico e sulla fertilità.

 I dati disponibili risultano quindi scarsi per quanto riguarda sicurezza ed efficacia: senza  adeguati controlli sperimentali è dunque impossibile un giudizio scientifico sui rischi.

 Non sono inoltre state ancora sufficientemente esplorate le conseguenze del blocco dello sviluppo   sessuale in rapporto allo sviluppo emotivo-cognitivo, così come risulta controverso quanto possa definirsi libera da interferenze esterne la partecipazione e il consenso al programma terapeutico da parte di un ragazzino di 11-12 anni.

Nonostante in molti paesi (in primis l’Inghilterra e l’Olanda) l’uso della Triptorelina sia stato ampiamente sdoganato al fine di far “prendere tempo” all’adolescente per decidere quale strada intraprendere, sono molti i pareri contrari che si sono sollevati all’interno della comunità scientifica; fra questi merita di essere citato quello della American College of Pediatricians, pubblicato nel settembre del 2017 (Gender Ideology Harms Children): “Secondo il DSM-5, ben il 98% dei ragazzi e l’88% delle ragazze accettano il loro sesso biologico dopo aver attraversato naturalmente la pubertà” e “i tassi di suicidio sono quasi venti volte maggiori tra gli adulti che usano la terapia ormonale e che si sono sottoposti a chirurgia di riassegnazione del sesso, anche in Svezia, che è tra i Paesi più LGBT-friendly”.

L’adolescenza stessa, quindi, può risultare “curativa” nella maggior parte dei casi di disforia di genere, ma come può questo realizzarsi se con l’uso della Triptorelina gli adolescenti vengono bloccati in uno stadio “neutrale” di prima pubertà? Non si corre in questo modo il serio rischio di intraprendere scelte irreversibili sulla pelle di giovani uomini e giovani donne che in futuro dovranno fare i conti con le conseguenze di una decisione presa a 11 anni?

Senza contare che inizia ad emergere il fenomeno dei cosiddetti detransitioners, ossia  di coloro  che,  dopo  un  percorso di cambiamento di genere, chirurgico e/o ormonale, ritengono opportuno tornare al genere  di partenza, un fenomeno che sta aumentando al punto da prevedere una sezione appositamente dedicata nell’ottava edizione del WPATH (World Professional Association for Transgender Health) Standards of Care. 

Non possiamo inoltre non menzionare la sovrastruttura ideologica (quella del cosiddetto “genderismo”), responsabile dell’aumento dei bambini e degli adolescenti “confusi”, proprio in quei paesi come l’Inghilterra che per primi hanno incentivato l’introduzione degli studi di genere nei programmi scolastici e in seguito l’uso degli analoghi del GnRh: nella sola Inghilterra, infatti, a partire dal 2007, il numero degli adolescenti che ha richiesto di cambiare sesso è aumentato del 4400%, un’impennata che ha allarmato il governo May.

Risulta quindi assolutamente sensato l’intervento di qualche giorno fa in Senato dell’onorevole Pillon, il quale ha difeso la scelta del ministro dell’istruzione Bussetti di fermare la somministrazione agli studenti umbri di un questionario “anti-omofobia”, nel quale si chiedeva a bambini e adolescenti di esprimersi circa il proprio orientamento sessuale utilizzando una terminologia esplicita e che appartiene al mondo degli adulti e non certamente a quello dell’infanzia.

Usare parole come “lotta al bullismo” e “odio della diversità” per giustificare quello che appare chiaramente come un abuso su minore è, per riprendere le parole dell’onorevole Pillon, “vomitevole”.

Così come è moralmente discutibile che l’Aifa si interessi di un farmaco controverso come la Triptorelina mentre sono più di 13 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi per motivi economici.

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