Appunti di antropologia biocratica del Grande Reset

 

Appunti di antropologia biocratica del Grande Reset

Ad un anno di distanza dall’inizio dell’emergenza sanitaria, sono cambiati radicalmente i paradigmi antropologici e sociali, facendo emergere con chiarezza la vulnerabilità umana davanti alla sofferenza, ma anche il modo in cui le élite si stanno servendo di questo tempo per imporre una nuova normalità. Un vero e proprio stravolgimento, radice di ulteriori cambiamenti in tutti i settori della società-mondo, nell’ottica di quella ridefinizione di cui il mondo ha certamente bisogno, ma non secondo i diktat delle élite tecnocratiche.

Il primo dato che dobbiamo rilevare è che è emersa una vulnerabilità valoriale ed antropologica, con ripercussioni sui modelli di comportamento e di pensiero quotidiani. I problemi sono di carattere strettamente pratico, perché il Covid è un fenomeno e, come tale, ha un modo di comunicare e di essere fruito; c’è un aspetto carismatico del virus, che è stato capace di compattare strati sociali latenti in procinto di esplodere e di farli emergere con forza rispetto all’usuale andamento sociale. La drammaticità del welfare state ha radici consolidate nel tempo, le problematiche emerse nel 2020 sono soltanto la punta dell’iceberg di quell’ordocapitalismo liberale responsabile, come ideologia, della distruzione del valore ordinativo e sacrale dello Stato. Il dominio assunto sui mezzi di comunicazione di massa ha provocato, poi, una fuoriuscita dalle aule e dai laboratori accademici di quella riflessione e ricerca che sono propri degli esperti, invadendo la vita quotidiana delle persone, generando una profonda confusione ed alimentando la ridefinizione dei valori culturali, già vacillanti nella società post-moderna. Il Covid porta con sé valori che sono a tutti gli effetti ideologici, i quali hanno dei segni invisibili ora emersi, tracciando anche una linea di demarcazione fra due mentalità, indirizzate a loro volta dai media, che interpretano le informazioni ricevute in maniera diversa; un problema, questo, che già l’antropologo Paul Farmer aveva descritto come violenza strutturale, vero e proprio gioco di prestigio di de-socializzazione che favorisce l’insorgere di ideologie egemoniche, mettendo la popolazione contro se stessa. Una dimensione ossimorica nella quale vengono introdotti certi concetti utili alle corporazioni transnazionali per neutralizzare la libera critica, che è motore della cultura, massima espressione dell’essere umano. Questa violenza opera a tutto campo, sia da dentro la struttura, attraverso i suoi membri con potere d’azione come ad esempio i politici, sia dall’esterno, tramite l’azione di agenti secondari come, nel nostro caso, i mezzi di comunicazione, le istituzioni scientifiche, gli accoliti delle multinazionali del farmaco, della tecnologia e dell’ecologismo.

C’è anche una prospettiva etnoscientifica, linguistica e demologica da considerare. Abbiamo assistito ad una massiccia e forzata introduzione di numerosi nuovi termini nel linguaggio delle masse, quale preludio del Great Reset, secondo uno schema temporale ben preciso, una sequenza necessaria, tanto che si parla ancora di vaccino, con la sua valenza escatologica, perché viene proposto come salvezza, mentre il Grande Reset verrà solo dopo questa transizione obbligata, seguendo quella traccia indicata da Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, ma ancora prima narrataci da Jacques Attali, da Bill Gates, da George Soros. Un caso? Molti sono stati, infatti, gli avvertimenti profetici, preannunciati negli anni, ed ora viene proposta questa formattazione come un qualcosa di inevitabile, anzi positivo e necessario per uscire dalla crisi sanitaria, susseguitasi a quella economica. Questi personaggi cambiano la lingua perché cambiando la lingua, si cambiano le persone, riprogrammandone le configurazioni neurologiche immettendo parole che hanno un significato molto forte, con vari ossimori, facendo emergere una narrazione dei fatti che presenta le crisi come un’esigenza, unico modo per cambiare. Un linguaggio diverso che è proprio della magia, degli esorcismi, delle pratiche occulte, perché accessibile solo a pochi, esoterico nel suo significato autentico, essoterico nella sua applicazione ossessiva, così che alla maggioranza delle persone appare poco chiaro e talvolta spaventoso. È qui che la paura diventa lo strumento di potere per eccellenza, scusa adottata per privare la popolazione della libertà individuale e collettiva.

D’altronde, è facile evidenziare i gravi problemi dovuti alla mancata costituzionalizzazione del cosiddetto “stato di emergenza” e le relative ripercussioni sulla forma di Governo. C’è un aspetto prettamente politico dell’epidemia, come ci spiega da diversi mesi il filosofo Giorgio Agamben, ed i giuristi sono diventati come i profeti: a loro viene richiesto in questo tempo di fare luce su questioni complicatissime, di sostenere e confortare la gente, di analizzare e contrastare le degenerazioni del potere politico che sta calpestando la Costituzione e i diritti consacrati dal Testo Fondamentale, anche qui dovendo sopperire ad un’invasione epistemologica e semiotica. La biosicurezza è divenuta la metodologia di sovversione delle democrazie borghesi, che stanno cedendo il passo ad un nuovo dispotismo di pochi oligarchi, i quali a suon di decreti di dubbia fattezza stanno demolendo l’ordinamento giuridico degli Stati. Un processo, quello di decostruzione della democrazia liberale, che in realtà ha un suo verso positivo e condivisibile, ma il problema che si prefigura è: verso quali nuove forme stiamo andando? Davanti alla soppressione dei diritti e delle libertà più importanti della persona, con l’annientamento della sua dimensione metafisica in nome di una vita eretta ad assoluto, e l’imposizione di nuovi modelli tecnocratici ed ecofinanziari non lascia certo sperare in un nuovo rinascimento mondiale. Un’ingegneria sociale eccellente, bisogna riconoscerlo. Le proposte che ci vengono prefigurate come già decise dall’alto sono quelle proprie del transumanesimo integrale, senza se e senza ma, scenari che fino a pochi anni fa erano appannaggio solo di una certa letteratura distopica e protoscientifica, e che adesso sono stati messi in atto con colpi di scena nei differenti teatri delle discipline umane. La pervasività è una caratteristica ontologica del transumanesimo, perché esso, per potersi compiere, ha un estremo bisogno di adesione incosciente, da una parte, e di “carne da macello” umana, dall’altra, come laboratorio pratico. Gli stessi processi di persuasione e dominio politico messi in atto, ci ricordano l’esigenza del sistema di avere adesione e nutrimento: se infatti le persone cominciassero a risvegliarsi, tutto ben presto crollerebbe, perché fondamento del potere è l’esercizio del potere dei membri della comunità sociale.

Tutto questo è rilevabile a partire da quei paradigmi indiziali, che sono il principio della ricerca non solo nelle scienze umane ma anche nelle scienze dure, in quanto è a partire dall’esperienza che si muove la riflessione. Ciò che oggi è palese è che c’è un nuovo mondo, con nuove regole di vita sociale con le quali ci dobbiamo scontrare. Negare ciò significa non prendere atto della realtà circostante, per quanto soggettivamente la si possa intendere, e talvolta c’è anche il rischio che si presenti come una colpevole ignoranza di cui la Storia ci chiederà conto. L’atto più rivoluzionario è combattere per la libertà della cultura, dell’informazione, della socializzazione. Il punto di partenza per contrastare le mefistofeliche menzogne dei media e smuovere le menti dal sonno della ragione è, ancora una volta nel corso dei secoli dell’umanità, la cultura, con la consapevolezza della grande responsabilità di portata epocale che ognuno di noi incarna in questo momento.

Se non ora, quando? Se non noi, chi?

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