‘Sbrigarsi’ è la parola d’ordine per chiunque si assuma il compito di ripristinare il funzionamento corretto della nostra povera scuola. La solerzia servirà soltanto ad evitare la protrazione del danno, perché coloro che ci sono già passati continueranno a circolare a piede libero con l’idea che l’ignoranza sia solo una faccenda privata e non un’infezione sociale, e che tutto finisca in una specie di purgatorio, di acquitrino verdastro, come quando nelle operazioni di scrutinio il responso, tradotto in una protocollare sufficienza, è che il soggetto scrutinato non ha nessuna voglia di studiare benché sia particolarmente sveglio, oppure che si consuma lodevolmente sui libri benché non abbia ancora imparato a leggerli: insomma, ‘pilu’ per tutti.
Mi duole constatare che solo adesso qualcuno si accorga degli effetti ad ampio raggio prodotti dalla bomba termo barica del buonismo, fatta esplodere tra le mura di ogni scuola dai cacasenno della vecchia Sinistra, ma anche con la connivenza di molti settori della Destra conservatrice, alla quale della pubblica istruzione non gliene può fregare di meno, dato che per i figli di papà c’è il collegio svizzero o, in alternativa, l’Istituto ‘tosto’ retto dai gesuiti.
In tutti questi anni, a far data dal 1973 in cui videro la luce i decreti delegati, la Scuola, fatta passare per malata e sbagliata solo perché era stata concepita da Giovanni Gentile, si è riempita dei più strani alambicchi, per la gioia di Frankstein.
Ricordo di aver visto, tra le lettere pervenute a Moro alla vigilia del suo rapimento, quella di un esponente democristiano di primissimo piano che gli suggeriva di fare subito dei passi indietro perché nelle ultime elezioni scolastiche le liste di centro avevano conquistato la maggioranza e che, quindi, il Compromesso Storico – un azzardo – si sarebbe rivelato del tutto inutile se il suo obiettivo era quello di propiziare la risalita della DC.
Avevo trovato finalmente la spiegazione di un fenomeno altrimenti inspiegabile: di tutta quella gente che si accapigliava fin dentro le aule delle scuole scimmiottando l’arcobaleno delle formazioni parlamentari, e di tutto quell’ambaradam che prendeva almeno un paio di settimane a ridosso dell’elezione degli organi collegiali, spostando da quella parte molte delle energie che avrebbero dovuto essere impiegate per l’organizzazione dell’attività didattica.
Ma tant’è. Oltre che a sopperire per la mancanza delle agenzie demoscopiche – che sarebbero arrivate molto più tardi con lo scopo di radiografare, mese per mese, la popolarità dei partiti – le elezioni scolastiche (una ‘e’ in più, che proprio non ci azzeccava con lo strumento basale dell’istruzione) venivano contrabbandate come una forma avanzata di democrazia, sulla scorta di un adagio – ‘democrazia vuol dire partecipazione’, coniato cantando da Giorgio Gaber – che doveva significare tutt’altra cosa: non il parente dell’infermo che s’insinua nella camera operatoria per forzare la mano al chirurgo, né quello dell’imputato che prende posto nella camera di consiglio per cercare di indirizzare le sentenze, né il genitore che si fa eleggere per tampinare da vicino i docenti e arruffianarseli perché siano indulgenti col figlio, o addirittura per decidere al posto loro come debba funzionare una scuola.
Ad onor del vero, trascorso all’incirca un trentennio dalla sbornia ideologica della quale erano tributari i decreti delegati, sui cortili delle scuole che evocavano ‘Rissa in galleria ‘, di Giacomo Balla – per tutti i genitori che vi si davano appuntamento, come cani arrabbiati, nell’intento di sostenere, gli uni contro gli altri, la propria lista – cominciò a calare un silenzio di tomba, e a quei cani ne subentrarono altri, di tutt’altra specie, che si disperdevano in tutte le direzioni per sfuggire al laccio del preside, un po’ perché non avevano tempo da perdere, un po’ perché (grazie mille!) realizzavano che con la loro stessa presenza negli organi collegiali avrebbero screditato gli operatori scolastici, facendoli passare per quelli che, senza un robusto ‘aiutino’, avrebbero combinato sfracelli.
Due fallimenti concentrici, di segno opposto, sicché, ora – a dispetto dei sindacati e del PD che occultano l’evidenza nell’impossibilità di negarla – non si capisce perché gli organi collegiali, aperti alla partecipazione dei genitori, debbano sopravvivere bellamente a se stessi, nonostante non siano come le Vele di Calatrava – qualcosa da rivedere e da completare – ma il frutto di un’ideologia costituzionalmente sbagliata, un mostro da demolire con la ruspa, il più presto possibile.
Sarebbe solo il primo, di una serie di passi, -piccoli, facili da fare – che tuttavia rimetterebbero questa istituzione, cruciale per il presente e per il futuro di questo Paese, ‘al centro del villaggio’.
Posteriormente al 1973 la legislazione scolastica e la mole sterminata delle pandette uscite dal Ministero (a cominciare dallo ‘Statuto dei diritti delle Studentesse e degli Studenti’ che di fatto trasferiva agli alunni, minori e no, il potere di valutare la qualità del servizio scolastico, strappandolo ai professori, e anticipava, già soltanto nell’intestazione, la contrapposizione dei due sessi che sarebbe divenuta uno dei ‘leitmotiv’ del Pensiero Unico) si sono incastrate così bene l’una nell’altra da aver creato assuefazione nei capi d’istituto, che assumono la guida di questa macchina inutile, e anche negli insegnanti, il cui ruolo assomiglia sempre di più a quello di certi giocolieri improvvisati che intrattengono gli automobilisti al semaforo.
Per anni il dizionario della vecchia Sinistra si è andato riempiendo di locuzioni intriganti per le orecchie ma velenose per il cervello. Penso, ad esempio, a ‘Libertà d’insegnamento’, che non vorrebbe dire assolutamente niente in un Paese che avesse delle regole e che fosse capace di conformarvisi , tranne, nel caso nostro, che il docente non può essere sindacato se deraglia dallo svolgimento dei programmi o se, per seguire le indicazioni estemporanee di Viale Trastevere, parlasse quasi solo alle classi, ora di educazione stradale (se c’è stato un brutto incidente sull’anulare), ora di riscaldamento globale (se fa troppo caldo), ora di come funziona la famiglia ‘queer’ (se intende rimarcare l’intollerabile vetustà dell’insieme rappresentato dal padre, dalla madre, dal figlio e, saltuariamente, anche dallo spirito santo): tutto ciò a discapito delle materie curriculari, per le quali il tempo stringe e non è sufficiente per garantire l’acquisizione delle competenze essenziali.
Altra trappola lessicale: ‘Insegnamento individualizzato”, che è quello praticato nella scuola dell’obbligo, ma anche, per effetto di trascinamento, tra i banchi del liceo. L’alunno viene di fatto enucleato dalla dimensione ‘verticale’ della scuola che sanziona il demerito, e confinato in quella ‘orizzontale’ dei servizi sociali, che si occupano dei disadattati, scoprendone a centinaia anche dove non ci sono.
Mi sovviene il sontuoso aforisma coniato da Indro Montanelli, secondo il quale i comunisti amavano a tal punto i poveri da volerne creare sempre di più.
In effetti, il numero degli alunni ai quali vengono rivolte le attività di Sostegno, cresce continuamente, legittimando, da un lato, negli anziani, il fallace sospetto di essere sbarcati da un altro pianeta, e autorizzando, dall’altro, la domanda su come può accadere che con questa scuola, piena di ‘sportelli per l’ascolto’ e di ‘tecnologie avanzate‘, che hanno mandato in pensione il gessetto, la lavagna, e il vecchio registro, soppiantato dalla rendicontazione elettronica, aumenti anche, in misura esponenziale, il numero dei minori che delinquono e dei giovani che letteralmente non sanno niente: come un grande viaggio organizzato, tra un’infinità di trolley, di zaini e di panini imbottiti, alla volta di Neanderthal.
La risposta, almeno per quel che mi riguarda – avendoci trascorso i tre quarti della mia vita – è che la Scuola è stata destrutturata – partendo da molto lontano, col paziente lavoro di cesello che è peculiare degli orafi e dei demoni – non per preparare i cittadini ad essere protagonisti della comunità e dello Stato, ma per fornire carne trita al nuovo Leviatano, che non ne vuole sapere né di comunità né di Stato, né tanto meno di persone che sarebbero capaci, alla bisogna, di trasformare lo spritz in un nobile sanpietrino.
La situazione, insomma, è drammatica, e non sono ammissibili migliorie come quelle a cui pensa l’attuale inquilino di Viale Trastevere quando ignora, o finge di ignorare, che la formazione ha una valenza strategica. Di un edificio nato storto è del tutto inutile occuparsi della tinteggiatura o dei comignoli malandati. È necessario buttarlo giù e costruirne un altro, a meno che non ci si voglia rassegnare all’idea che le nostre strade diventino una propaggine di Gomorra e che si debba, da qui a qualche anno, importare buoni medici e buoni ingegneri dalla Tunisia perché ne abbiamo terminato le scorte.