Calcio moderno: l’outlet globalizzato del pallone

 

Calcio moderno: l’outlet globalizzato del pallone

Il settore economico di massa in cui più è evidente la pervasività del mercato è forse lo sport professionistico. E’ un’avanguardia della globalizzazione, un vero e proprio outlet grande quanto il mondo, nel quale l’aspetto meno rilevante è il risultato sportivo. Esso importa soltanto agli appassionati e i tifosi.

La prova di quanto asserito si manifesta nelle competizioni internazionali e, in ambito italiano, con il trasferimento di Cristiano Ronaldo alla Juventus, che la stampa specializzata ha battezzato, con scarsa fantasia, il colpo del secolo.

Anche in Italia la titolarità dei club non solo non è nelle mani di azionisti connazionali, ma appartiene a fondi internazionali, entità finanziare. Gli stessi calciatori, a cui i tifosi si affezionavano fino a identificarli nella squadra, sembrano attori di compagnie di giro. Oggi recitano a Buenos Aires, la settimana prossima, fuso orario permettendo, si esibiranno a Milano, poi a Tokyo o Shanghai.

Un esercito di procuratori sportivi, agenti, sedicenti scopritori di talenti, si muovono nell’ambiente, decisi a prendere per sé una fetta della torta. Il trasferimento di Ronaldo alla Juventus è costato oltre cento milioni che andranno al Real Madrid, ma quanto altro denaro sarà andato a pubblicitari, legali? E quanta parte delle somme di ogni operazione sfugge al fisco? In più, è relativamente semplice “aggiustare” i bilanci attribuendo ai calciatori un valore esagerato o inferiore al reale. Attualmente, sono sotto processo sportivo il Chievo, Verona e il Cesena, accusati di aver organizzato un sistema di compravendite reciproche a somme gonfiate per sistemare i bilanci ed essere ammesse ai campionati.

Nel giro calcistico si muovono torme di personaggi di assai dubbia correttezza. I fallimenti, negli ultimi venti anni, hanno coinvolto moltissime società grandi e piccole, senza risparmiare corazzate come la Fiorentina, il Napoli e il Parma.

Significativo è il caso Ronaldo. L’asso portoghese ha lasciato il Real Madrid e la Spagna probabilmente per il pesante contenzioso con il fisco spagnolo. Lo strapotere della Juventus (Fiat) consentirà ai bianconeri altre vittorie nel campionato, ma, paradossalmente, i primi a fregarsi le mani sembrano proprio gli avversari. Il patron del Napoli De Laurentiis chiede di rinegoziare il valore commerciale dei diritti televisivi del nostro campionato giacché la presenza di Ronaldo rende più appetibile la Serie A. Nella divisione della torta la parte del leone la fanno le società dotate del maggiore bacino di utenza.

I ricchi del calcio, dunque, come nella società del mercato globale, diventano sempre più ricchi, gli altri possono fallire.

I tifosi, ovvero i clienti, contano poco o nulla. I più fedeli sono costretti alla schedatura attraverso la tessera del tifoso, che peraltro è anche una carta di credito per comprare prodotti di ogni tipo; vengono sottoposti a perquisizione all’entrata degli stadi. Il risultato è tribune sempre meno affollate. Ciò che si persegue è ridurre il calcio a spettacolo televisivo di vertice. I tifosi scelgono sempre più di assistere da casa alle partite delle grandi, mettendo in crisi irreversibile le piccole e medie società. Ma è il mercato.

Intanto, l’effetto Ronaldo si sta sentendo. Maglie, gadget e gli altri oggetti legati alla sua immagine andranno a ruba. Il mercato vince.

Poca importanza ha il risultato sportivo. Vincerà il più ricco. Il fenomeno dell’Ajax Amsterdam di Cruijff è oggi irripetibile. Gli stessi Milan e Inter non reggono il massimo livello. Il gigantismo del mercato industriale globalizzato si è trasferito nello sport, espellendo i meno grandi. I ricavi di pochi colossi costituiscono il grosso del volume d’affari totale.

Saremo nostalgici, ma rivorremmo allenatori come il povero Emiliano Mondonico e la sedia scagliata al cielo contro il destino avverso al suo Torino, o Nereo Rocco, il paron triestino che, sulla panchina del coriaceo Padova, all’augurio di un giornalista “vinca il migliore” rispose “speremo de no “. Era l’essenza, il fascino magico del calcio che potesse vincere, o almeno pareggiare il più scarso. Non è più possibile: i grandi hanno eliminato il rischio d’impresa. La concorrenza è pressoché finita, come negli altri monopoli.

Giochino contro se stessi, Real Madrid o Juventus A contro Real Madrid o Juventus B. Lascino a noi il vecchio sport del pallone, viva il parroco, l’arbitro cornuto senza la Var, i tifosi senza tessera, la domenica sera da incavolati neri dopo una sconfitta.

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