Che fine ha fatto l’estetica della musica? [8]
Questa la tesi agostiniana che si vuole proporre.
La musica è espressione della Bellezza: di essa Agostino ha mostrato abilmente come ogni parte sia perfettamente ordinata e concorrente a costituire e comunicare la bellezza, come anche noi siamo capaci grazie alla ragione di comprendere la musica e, per la via della contemplazione, fare della musica una porta di accesso alla Bellezza e alla Verità. La musica oggi vive una decadenza per la quale è giudicata esteticamente secondo criteri relativisti e soggettivisti, per cui ogni stile e genere musicale deve essere ritenuto come bello e buono, senza alcun riferimento oggettivo e metafisico; ciò però è contrario alla costituzione stessa della musica, che è matematicamente ordinata, iscritta all’interno di limiti e regole che ne definiscono statutariamente l’identità, e al di fuori dei quali non è possibile parlare più di musica. La kalokagathìa classica ripresa da Agostino, dove ciò che è bello esprime ciò che è buono e porta ad esso, può essere riproposta per riscoprire la Bellezza nella sua essenza ideale ma anche nella sua manifestazione oggettiva nell’essere delle cose. Dunque, la musica non sarà tutta sempre e obbligatoriamente bella e buona; anzi, la musica che non è ordinata al Bene, nemmeno la si potrà definire propriamente bella, poiché mancante della sua forma metafisica più alta; una composizione musicale potrà essere esteticamente ben fatta, esprimere una bellezza secondo le norme della matematica musicale, ma non sarà autenticamente espressione della Bellezza se non è intrinsecamente ordinata al Bene. Allo stesso modo, un’opera musicale volente esprime il Bene, non sarà autenticamente musica se non ordinata secondo le leggi che identificano la Bellezza musicale, per cui la mera intenzione non sarà sufficiente a determinare un giudizio non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Non dimentichiamoci che «chi giudica male una cosa, non ha scienza.»[1]
A ragione della immensa diffusione che la musica ha oggigiorno, nel modo in cui essa appassiona e veicola messaggi, istruisce, modella e determina le personalità dei suoi fruitori, sarà necessario promuovere lo studio scientifico della musica, perché conoscendone la sua perfezione matematica e le leggi che la governano è possibile riconoscere una magnificenza trascendente all’oggetto stesso e, di conseguenza, anche individuare un punto di partenza per dare inizio ad una trasformazione della società. Questo dovrà essere fatto secondo l’autentico spirito filosofico di stupore e meraviglia che portano alla contemplazione, ove si attinge e si riconduce la conoscenza della filosofia tutta. Altresì ci sembra importante proporre di ri-educare al gusto del bello in relazione al buono, a riconoscere una oggettività che è strutturata non sul gusto soggettivo e relativo, ma sulla evidenza innegabile della realtà mediata dalla ragione. Allora non sarò più possibile dire “tutto è bello” o “è bello ciò che piace”, ma sarà naturale dire “è bello ciò che è bello”, perché la conoscenza della Bellezza permetterà di contemplare la Verità, e ancora “è bello ciò che è buono”, perché la Bene discende la Bellezza che ad esso riporta e che, assieme, guidano verso la Verità. La musicologia sarà allora rinnovata e la musica ritroverà, è nostra speranza, il suo nobile e privilegiato posto nelle arti che l’estetica studia e propone al mondo.
Condizione di tutto ciò sarà sempre l’amore: amore per la Bellezza, amore per il Bene, amore per la musica stessa. Senza questo afflato filocalico, ogni tentativo di dare luogo ad una estetica della musica sarà vano. Non a caso, Agostino dice che un innamorato capirà immediatamente ciò di cui sta parlando, perché è questione di cuore, prima che di mente[2]. Per fare estetica della musica bisogna amare la musica.
Agostino ce lo insegna ancora oggi: la Bellezza la può comprendere solo chi ama e poiché la musica è Bellezza, a ragion veduta ci dice «Cantare amantis est»[3], ovvero “cantare è proprio di chi ama”.
[1] A, De mus. I, 6, 12, pag. 93; in Lat.: «Ill qui male de aliqua re iudicat, videtur tibi eam scire?».
[2] Cfr. A., De cons. Ev.. 26,4.
[3] Cfr. A., Ser., 336, 1.