Chi vuol essere sano sia, tanto ci penserà la polizia

 

Chi vuol essere sano sia, tanto ci penserà la polizia

Qualsiasi paragone con le epidemie del passato, di qualsiasi passato, è privo di senso e lateralmente disonesto. Questa è la prima epidemia che si manifesta in un mondo che ha oramai accettato di possedere sistemi sanitari diffusi, vigilanti e omnicomprensivi – cioè attrezzati a monitorare non solo la salute diciamo radicale di una persona, ma in generale il suo benessere.

L’antropologia medica (cioè quella branca della antropologia che studia i diversi approcci alla medicina) ha ormai da tempo individuato un nodo fondamentale nel Secondo Dopoguerra, e con più veemenza dagli anni ’90. Il concetto di “salute” passava dalla semplice assenza di malattie invalidanti e alla tutela della vita al concetto del corpo come macchina performante che quindi non era sufficiente “andasse” ma che doveva andare sempre tendenzialmente bene (o sempre meglio).
Questa transazione è evidente. Ciascuno di noi considera invalidante un mal di testa persistente, ma fino agli anni ’70 sarebbe stato probabilmente un sintomo da considerare solo in casi estremi. La mia allergia, che curo con gli antistaminici, non avrebbe sortito molta attenzione, e di certo non sarebbe entrata nei radar della medicina pubblica prima di un certo decennio. Io stesso probabilmente non l’avrei considerata molto più che una seccatura.

Insieme a questo cambio antropologico, derivato da molti fattori (influenza della metafora meccanica, sviluppo degli strumenti diagnostici, retorica della produttività, edonismo ecc) si è accompagnato al SSN, in Italia. Questo ha creato un sistema dove ad una popolazione sempre più anziana con una sensibilità sempre più alta verso i propri problemi si accompagna un sistema costruito e sviluppato (almeno in teoria) non solo per “curare”, ma anche per anticipare, migliorare la qualità della vita, migliorare le prestazioni individuali.

In sistemi come questo si manifesta appieno la tendenza di tutti i sistemi complessi: più i sistemi sono affinati più sono sensibili, e tendenzialmente più sono sensibili più sono fragili. Un’epidemia nel mondo medievale o moderno non fermava nulla perché impattava su un mondo dove la sensibilità di soglia era molto diversa, più alta.

In fondo l’epidemia si è originata in un mondo iperattento, sempre all’erta. Vigilanza e fragilità sono reciprocamente stimolanti, perché un sistema che si sa fragile è un sistema che ha molta più paura di essere colpito a morte; dove qui ovviamente per morte non si intende una condizione di morte assoluta ma di improduttività.

Non è qui interessante comprendere se questo modo ampio di concepire la salute sia positivo e negativo. È una smania tutta occidentale valutare le decisioni. I sistemi hanno caratteristiche diverse, utili (o dannose) per ambiti diversi.

Questo nesso sensibilità bassa/vigilanza scientifica/concetto di salute ampio origina inevitabilmente la biopolitica. Il sistema è pubblico, e pertanto i suoi costi devono essere redistribuiti. Se il sistema si attiva costantemente i suoi costi si alzano, e se i suoi costi si alzano diventa inevitabile che insieme alle prestazioni si richiedano dei controlli. Sistema più complesso vuol dire sistema più esigente oltre che sistema più fragile.

Il prezzo per un concetto ampio e sottile di salute è anche codesto.

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