Contro il neo-femminismo gender
C’è una memoria primigenia che ci rende − per ordine divino in primis, e successivamente antropologico e sociale – ordinati tali. Il più oscuro progressismo è quello che confonde i ruoli, o li inverte. Lo si deduce dalle storie sacre, dai miti cosmogonici della creazione: il caos è tenebra inudibile e vuota. L’ordine è l’assetto luminoso in cui ogni cosa creata prende il suo posto. In questo tempo, coda scurissima del Kali Yuga, l’inversione dei ruoli uomo-donna, inversione che in natura non è possibile né pensabile, spazza via l’ordine stabilito. La disarmonia che fa il paio con una vuota bruttezza dei costumi e con il diabolico sovvertimento dell’ordine divino- naturale, plana come coltre grigiastra su una umanità alla deriva. Il senso del giusto ordine si è perso. Nozione cardine, racchiusa in un termine-concetto della tradizione vedica: rta, il giusto ordine, il divino assetto. È Varuna la divinità che si occupa di farlo rispettare, e se viene disatteso intrappola nei suoi lacci coloro che deviano dal cammino divino, barcollando nel disordine terreno.
L’umanità è ormai imprigionata, ma non fa nulla per liberarsi ed invertire la rotta, anzi elogia e nuota beota in quel mare senza definizione e radice dove tutto è relativo.
Così viene messa in discussione anche la struttura biologica dei corpi. L’uomo può avere il seno e la donna il pene, l’uomo può dirsi donna e la donna farsi crescere la barba, in una continua trans-izione dell’identità di genere, finanziata dallo Stato. Ma non è qui motivo di giudizio la modificazione corporea coatta, ma l’uso che ne deriva. Uso che modifica il pensiero e la radice stessa del pensiero. Il relativismo legato al genere si sta imponendo come sorta di forma capitalistica che comanda un rovesciamento della radice stessa del vivere umano. Fino ad una cinquantina di anni fa non sarebbe mai stata messa in discussione, in maniera così feroce e subdola, la famiglia in quanto nucleo formato da un uomo, da una donna e dalla loro progenie. Ora è sotto attacco proprio quel nido salvifico e formante; in forma strisciante e a piccole dosi lo scardinamento è riuscito: la madre-donna così come il padre-uomo hanno perso ruolo ed identità. Genitore 1 e genitore 2 sono i freddi prodotti di questa inversione eradicante. Verrebbe da chiedere dove sono le madri. Che fine hanno fatto? Non sentono i figli che le chiamano per una salvezza su questa terra? Temiamo che quel grido di aiuto sia perlopiù inascoltato, e che questi siano i danni irreversibili che un certo aberrante femminismo e neo-femminismo ha provocato e continua a provocare. Le donne sono a nostro avviso imputate principali poiché è loro il compito − essendo madri e/o madri potenziali − di tutelare la perfetta armonia del creato in quanto creatrici di vita per eccellenza, e se la donna che dovrebbe essere guida nell’amore e maestra dell’ordine divino perde la rotta, il mondo vacilla. Per sua struttura morfologica ogni donna è giustappunto una madre in potenza. Anche le guerriere sterili per scelta lo sono; madri dei viventi tutti, come lo fu Eva nel suo aspetto benevolo. Prima di lei la Lilith, demone vampiro che non volle sottostare o assecondare il compagno Adam, e fuggì nel deserto per accoppiarsi con un gran numero di demoni, disobbedendo a Dio; storia sacra che molto insegna, rimodellata tra le righe della Torah ebraica, e quindi del primo libro dell’Antico Testamento, dalla sapiente mezzaluna fertile. Ad oggi il femminile che ha deviato la rotta, portando il maschile a confondersi, sceglie di essere simbolicamente come la Lilith, colei che produceva figli ma era incapace di cullarli e amarli. Non a caso questa figura dalle mille sfaccettature è icona dei movimenti di liberazione femminile, poiché nella loro ignoranza è simbolo di emancipazione.
Il figlio diviene un giocattolo modellabile in vitro, ed il padre che prima aveva un ruolo è divenuto un mammo apprensivo e debole, una figura che la stessa donna vestita di globalismo neo-femminista tende a svirilizzare, rendendolo femmineo e quindi potenzialmente innocuo, sulla scia di una eco che identifica nel maschio la fonte di ogni violenza e sottomissione. Seppur verissima e tristemente documentabile (nonché condannabile) ogni forma di abuso, all’interno di sane relazioni uomo-donna l’annullamento del maschile è in realtà pericolosissimo, in quanto rende inutile proprio quell’appartenenza di genere che è posta a tutela della famiglia e della donna stessa. Il movimento neo-femminista desidera annullare la virilità in ogni maschio, non solo a danno di quelli che violentano e malmenano, ma a danno di tutti. Virilità indebolita quindi, termine che ancora una volta trova radice nella lingua madre sanscrita: da vir-a nel significato-senso di eroe, di uomo con virtù morali quali il coraggio, l’abnegazione, la forza morale. Qualità assolutamente lontane dal maschio ignorante, subdolo e violento. In questa trasformazione che indebolisce i ruoli, il femminile è motore attivo; ma in questa affermazione c’è la dichiarazione di un primato spirituale delle donne, che per loro natura hanno compito di guida e sono custodi della tradizione. In questo senso hanno perso la rotta, pretendendo una parità di ruoli che per natura non è attuabile ed è contro-iniziatica.
Eppure c’è una immagine che fa parte della anamnesi primigenia di ogni uomo, non solo una semplice immagine, ma il principio cardine della vita stessa che ogni essere umano assorbe a livello di memoria cellulare archetipica, e che fa parte quindi del divino ordine della natura: la madre che allatta il bambino. Il mammo è una creatura incerta e debole, non culla poiché il suo corpo non è adatto a contenere, mentre la madre nega quel corpo a favore di una parità di genere che non rientra nell’ordine naturale delle cose. C’è un afflato eroico nelle donne libere che non disprezzano il maschile e non lo sviliscono. Una donna libera è oggi una donna centrata, libera è colei che non vede − nel passo dell’uomo non accanto, ma davanti a lei per proteggerla − nessuna condanna o svilimento. Quella stessa donna, e quelle donne, un tempo nel bene o nel male all’occorrenza erano i capi famiglia e amministravano, in mancanza dell’uomo, la prole e l’economia familiare. Questo non impediva loro di essere femmine, custodi del sacro focolare, nel senso più potente e simbolico del termine.