Controllare l’imprevedibile: il Living Will
Quante volte crediamo che un male per un bene sia un male travestito da bene, quindi giustificabile? Da ciò che si evince, consultando alcuni punti tramandati mediaticamente del disegno di legge S. 2801 “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”, gli elementi di maggiore criticità riguardano perlopiù l’obbligatorietà del testo e il contenuto sotteso ad espressioni come trattamenti “sproporzionati”o “ gravosi”. Tratta in primis del bavaglio applicato alla coscienza di medici e strutture il cui codice etico e deontologico è alimentato da principi contrari all’ipotesi che il medico possa figurare come ausilio/causa di morte nel crudo assolvimento di desideri da soddisfarsi a prescindere, rinnovandone la vocazione originaria, diretta al solo vero bene integro della persona, in un assoggettamento passivo della libertà di coscienza alla supremazia politico-legislativa nonché soggettiva. In secondo luogo la categorizzazione terapeutica di trattamenti ordinari e salvavita come alimentazione e idratazione, sulle quali il paziente può oggi giostrare arbitrariamente i propri timori o la spinta vitale che sente appartenergli, pretendendo che vengano interrotti/ non avviati questi mezzi di sostentamento minimali, non terapeutici e “normali”, nell’azione di cura. Un approccio di categorizzazione neutra dell’uomo come prodotto fra i prodotti mondiali toglie la sostanza unica delle dimensioni che compongono la persona, occupandosene con criteri qualitativi di efficienza e utilità, dove la funzionalità sostituisce l’essere, giustificando così anche male etico mutato in un bene di diritto. L’intera esistenza viene predisposta culturalmente alla normalizzazione di una concezione funzionalista dell’essere umano, votato al benessere continuo, immediato e non di rado medicalizzato. Non c’è spazio per considerare l’imperfezione che, nel caso in questione, significa malattia, sofferenza e morte (spinte eutanasiche attive e omissive). Gli uomini vengono persuasi da strumenti come il Living Will, ancor più quando le disposizioni concedono di controllare la fine della propria vita mediante il consenso, parzialmente informato, di direttive atemporali prescrittive per medici esecutori, stimolate dal timore e dalla paura del dolore, nell’inganno che questo sia il metodo ideale per proteggere il corpo dal riduzionismo a materiale biologico disponibile senza dignità. Un timore che depaupera il carattere libero dell’incontro tra una fiducia e una coscienza. Il T. B. soffre di una struttura controversa e paradossale anche solo nella dislocazione “ora per allora” talmente ampia e generica che rende malleabile ogni consapevolezza. Essenziale non dimenticare come sia, fin dalle origini, sorto e maturato da ambienti di promozione pro-eutanasici, contesti di sensibilizzazione alla “dolce morte”, che rende innegabile l’innescarsi, per sua stessa natura, di meccanismi di dominio dell’uomo sull’uomo.
Ciò di cui l’ammalato (quindi ciascuno di noi) ha concretamente bisogno è un linguaggio che ami l’uomo e proprio per questo sappia dargli conforto al pensiero del limite. Ecco perché sarebbe decisamente più urgente investire risorse sulla gestione medica del dolore, dalle cure palliative alla terapia del dolore, luoghi in cui si stanno riscoprendo la compassione e un rinnovato riconoscimento della dignità umana, senza clausole. C’è tutto di noi nel modo in cui rispondiamo al dolore: impariamo a preferire il tutto della vita al nulla della morte.