Covid-19, la nuova ‘paura’ e chi la usa contro di noi

 

Covid-19, la nuova ‘paura’ e chi la usa contro di noi

Il lockdown, è noto, ha simultaneamente “sospeso” le opportunità che gli individui avevano iniziato a dare per scontate dalla caduta del Muro in poi: quella di muoversi liberamente, su tutte, ma non solo.

Il Covid-19 «non tiene in scacco solo l’Europa, ma l’intera comunità mondiale. È già chiaro che la pandemia riplasmerà il nostro mondo» (J. Borrell, Quattro priorità per una strategia globale in risposta alla pandemia, «IlSole24Ore», 9 aprile 2020). E lo plasmerà ‒ come sta già facendo ‒ con la paura: è con il Covid-19, infatti, che le inquietudini si sono incarnate in qualcosa di invisibile, ma tangibile nelle sue conseguenze.

Con la pandemia si sono esplicati gli aspetti dell’inquietudine in relazione alle dimensioni della vita «nelle quali si incrociano […] l’impossibilità di intravedere gli effetti dei processi in atto, l’incapacità di dominarli, la debolezza o mancanza di volontà di fronte alla prospettiva di abbandonare percorsi consolidati dati i costi di vario genere che ciò comporterebbe, una grande incertezza sulle direzioni da seguire e sui mezzi da impiegare anche quando si è fatto chiaro che occorrerebbe voltare pagina» (M.L. Salvadori, Le inquietudini dell’uomo onnipotente, Bari, Laterza, 2003, p. 11.).

Non a caso, in riferimento al rapporto tra inquietudine e globalizzazione si è parlato di globalismo «come nuova totalità geostorica (in una chiave eminentemente economica) come, in altri termini e in altri tempi, si parlava di colonialismo, nazionalismo, imperialismo, cristianesimo o islamismo» (F. Lazzari, Globalizzazione e ricerca di senso. Le sfide per la democrazia e per il lavoro, «Visioni LatinoAmericane», n. 6 del 2012, p. 8.)

A ben guardare, il senso di inquietudine insito nel mondo globalizzato è sorto contestualmente alla sua nascita, ma aveva colpito ambiti specifici come quello religioso, economico e tecnologico: prima la paura globale dell’11 settembre, poi, nel corso degli ultimi venti anni, lo sviluppo dell’economia cinese che «ha alimentato le inquietudini occidentali […] Un modello autoritario, visceralmente antidemocratico e ostile al libero mercato. Un modello realmente diverso, alternativo» (E. Mariutti, La globalizzazione ci ha arricchito o impoverito? Il caso di studio cinese, in «IlSole24Ore», 26 settembre 2018).

Infine, prima della paura sanitaria creata dall’epidemia erano sorte in Europa ‒ e più in generale nell’Occidente ‒ inquietudini sul «ritardo tecnologico nel settore cruciale della rivoluzione digitale di fronte a Usa e Cina. A questo si era aggiunto il timore che la Cina approfittasse della sua posizione di vantaggio e del suo scarso rispetto per le regole dell’economia di mercato, non solo per avvantaggiarsi della diversificazione delle filiere ma anche per prendere possesso del cuore delle competenze tecnologiche europee» (R. Perissich, Si fa presto a dire globalizzazione, in «Affari Internazionali», 29 aprile 2020).

Paure su paure, insomma. Usate contro tutti. Si pensi che nel 2017 il X Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa ‒ realizzato dall’Osservatorio promosso da Fondazione Unipolis, Demos&Pi e Osservatorio di Pavia ‒ aveva evidenziato che «un peso rilevante nell’accrescere le paure ce l’hanno i processi di globalizzazione (39%) e “gli atti terroristici” (44%).

Ma è la crisi economica, con il corredo di perdita di lavoro, disoccupazione, impoverimento e timori per il futuro dei giovani a determinare situazioni di vera e propria angoscia. Al punto che “l’80% degli intervistati dichiara di avere percepito un aumento delle disuguaglianze economiche e sociali”».

Ma il Covid-19 ha trasceso il senso economico dell’inquietudine e lo ha posto su un livello individuale, esistenziale, intimo. Come solo una minaccia per la salute ‒ vera o presunta poco cambia ‒ può fare esponendo al pericolo tutti allo stesso modo, indifferentemente dalle latitudini geopolitiche in cui si vive. E che è rinfocolata dall’inadeguatezza o dalla malafede ‒ a voi la scelta tra le due ipotesi ‒ di chi governa globalmente il mondo.

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, ha dichiarato a tal proposito: «La collaborazione a livello planetario è l’unica soluzione ad una pandemia mondiale. Nell’ambito della risposta globale al coronavirus e della campagna ‘Obiettivo globale: uniti per il nostro futuro’» (Commissione Europea, Risposta globale al coronavirus: la Commissione aderisce allo strumento per l’accesso globale ai vaccini contro la COVID-19 (COVAX), comunicato stampa, 31 agosto 2020).

Chissà perché, detto da lei, sentir parlare di ‘obiettivo globale’ suoni più come una frase sibillina piuttosto che sembrare una notizia rassicurante.

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