Da Gucci al trapianto di testa: una sola identità non può bastare

 

Da Gucci al trapianto di testa: una sola identità non può bastare

Una graduale e progressiva procedura di astrazione ha strutturato la convinzione culturale-antropologica che, quanto compiuto sul corpo sia altro da quanto incide sulla persona, intesa nella sua totalità e unicità, di perfetta comunicazione fra le parti che la compongono come un tutto, distinto e indistinto.

In effetti pochi oggigiorno pensano al rapporto di causalità fra l’azione e la reazione (anche a lungo termine) di ciò che per se stessi hanno ambientato nel loro corpo: pensando di possederlo dimenticano di animarlo e, con esso, una parte della loro identità personale viene sciolta dal responso alla provocazione incisa sul tempio di Apollo, che implora al passante “conosci te stesso”, quindi la tua finitezza e il tuo limite. Usando le parole di Donna Haraway, capostipite della scuola cyber-femminista, sembra che oggi un’identità singola non basti più, anzi, proprio in quest’era costituisce un freno al dispiegarsi della soggettività, per questo occorre sgombrare il percorso della tecnica e della medicina dalle barriere che non consentono di ridefinire l’istante della morte, quello dell’origine e, insieme, la costituzione fisica dell’uomo. È l’ologramma della neo-umanità finanziata dal miliardario Dmitry Istkov, il quale espone il suo Progetto 2045, come l’avvento dell’evoluzione controllata.

Ebbene è a questo “progetto immortalità” che ha dato adesione il neurochirurgo torinese Sergio Canavero, con le sue ricerche condotte in Cina, insieme al collega Xiaoping Ren, cercando di essere il fautore rivoluzionario del primo traguardo dell’iniziativa, mediante la prima anastomosi cefalo-somatica su essere umani, detto altresì trapianto di testa (o per meglio dire di corpo). Dopo anni di studi condotti su varie specie animali, passando attraverso il recente -a detta del professore- riuscito trapianto di testa su cadavere umano, l’incredibile operazione, attesa con timore e stupore da tutto il mondo scientifico internazionale, sarebbe dovuta avvenire lo scorso di 17 dicembre, ma la commissione etica della Cina bloccò l’evento considerandolo scientificamente e moralmente assurdo e inaccettabile.

Molti, anche per il lieve vociare mediatico sul caso, declassano la questione alla fantascienza o ad una nicchia intellettuale che ama ritornare all’umanesimo antropocentrico partendo da teorie affini al decentramento della specie umana, eppure, cavalcando l’analisi di molti sociologi, quando un fatto giunge all’arte, anche alla moda, sta -se non altro concettualmente- filtrando tra i corridoi della società. Ed è quanto ha dimostrato la recente sfilata di Gucci alla settimana della moda dello scorso febbraio, nella quale si sono visti inespressivi corpi-modelli, percorrere una sala operatoria allestita per rievocare quanto sta accadendo o vorrebbero accadesse i promotori di correnti Trans e Post-umaniste, in particolare quanto tentato dal dott. Canavero che ha direttamente influenzato l’idea della collezione, come dichiarato da recenti interviste del settore.

Non solo, la cosa ancora più interessante è il dettaglio delle borse: mini-riproduzioni dei volti raffiguranti il modello con il quale attraversavano la passerella: capelli, occhi, lineamenti, ogni dettaglio estetico di quell’identità, riprodotto e fruibile, adattabile. Singolare un altro dato, difficile da notare, ovvero che ciascuna delle borse incarnava quel nome, quell’essere umano già esistente, ma oltre se stesso, migliorato e ciò compiuto intenzionalmente per mortificare la necessità della natura e avallare l’attesa (o disattesa?) perfezione verso la quale dirigere l’uomo antico, succube dell’errore. Il tema dell’enhancement, oggi più che mai si trova all’interno di un caldo dibattito bioetico nel tentativo di annoverarsi il privilegio terapeutico per una nuova categoria di malati, i cosiddetti non-pazienti, uomini e donne sani.

L’uomo è riducibile al puro meccanismo?  L’indice di normalità ideale dove si colloca? Cosa dire del rischio, già verificabile in America, di una dissociazione radicale della persona che entra in competizione con se stessa? 

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