Distruggere ogni libera espressione: la trappola delle “piazze digitali”
Ne stanno già parlando molti giornali ed anche in televisione comincia a farsi sentire il nuovo concetto di piazze digitali. Di primo acchito, potrebbe sembrare una definizione quasi ossimorica e paradossale: le piazze sono per eccellenza il luogo fisico dell’incontro e del dialogo, l’agorà di greca memoria che è culla della cultura e della politica; non esiste città senza una piazza, anzi è proprio attorno ad una piazza che si costruisce una città, a tutte le latitudini, come a testimoniare l’essenzialità dell’essere comunità a fondamento della vita sociale umana di tutti i tempi. Allo stesso modo, anche nella post-modernità tecnoliquida, che si muove velocemente verso il transumanesimo integrale, non può certo mancare una trasposizione parodizzante di questo elemento archetipico della civiltà, ed è così che prende forma la digital square, la piazza digitale, uno spazio virtuale in cui incontrarsi su di una piattaforma per parlare di qualcosa.
Già avevamo sentito definire i social network come le nuove piazze, cosa a tutti gli effetti vera e sempre più determinante per lo sviluppo dell’opinione pubblica e la circolazione di informazioni, ma anche drammaticamente difficile e pericolosa visto l’insorgere di dipendenze di varia entità, disturbi neurocognitivi, affettivi e relazionali, violenze e nuovi reati, nonché il dramma della falsificazione dell’esperienza comunicativa umana con la conseguente solitudine interiore sempre più accentuata. Quanto però adesso ci viene proposto è molto più strutturato e controllato delle precedenti forme sperimentali: piazze digitali non è semplicemente la descrizione della trasformazione dei media in vere e proprie piazze, perché l’espressione riprendere alcuni progetti che sono di origine governativa, UE ed ONU. In Italia le piazze digitali sono state proposte qualche settimana fa da TIM con Operazione Risorgimento Digitale, ma anche dalla Fondazione Mondo Digitale del professore inglese Molina, così anche come dalla Protezione Civile stessa che nel 2020 ha parlato di piazze digitali per persuadere la gente a non uscire di casa, soprattutto in Emilia Romagna.
Al di sopra di queste secondarie apparizioni, chi ha adottato per primo nel mondo il termine, aprendo addirittura un’azienda con quel nome? Lo leggiamo direttamente dalla descrizione istituzionale riportata sul sito: Digital Square is a PATH-led initiative funded by the United States Agency for International Development, the Bill & Melinda Gates Foundation, and a consortium of other donors. Ebbene sì, anche dietro a questa nuova trovata del mainstream c’è il cognome che per eccellenza ha segnato il 2020, dai BigTech ai BigPharma, dalle proposte vaccinali ai piani di de-popolamento, passando per il Great Reset e l’ibridazione uomo-macchina.
Appare evidente che la programmazione delle élite transnazionali procede speditamente ed indisturbata nella direzione del controllo massivo e pervasivo anche di quegli ultimi spazi di resistenza e libertà comunicazionale. Il problema centrale dell’avvio delle piazze digitali, infatti, è quello del dominio: chi controllerà le piazze? Chi potrà definire quali sono e quali no delle piazze? Che esercizio del potere, e di quale potere, stiamo parlando? Domande che in parte trovano già le risposte cogliendo quei paradigmi indiziali che sono riscontrabili dalla lettura degli eventi in corso, affiancandone il tumultuoso percorso storico dell’ultimo secolo; domande che, in parte, resteranno senza risposta fino all’istante in cui ci troveremo a vivere quei momenti, nel fluire iperattivo del mondo contemporaneo, dove il dato arriva prima della persona, e dove persino il cuore della civiltà viene sostituito da una macchina il cui pulsante di accensione e spegnimento non è nelle tasche di ognuno di noi.