Donzelleide


 

Donzelleide

Pensavo francamente, ma mi sbagliavo, che la misura stesse già per colmarsi con la presentazione delle liste elettorali che mi rimandavano ai tempi dei Borja (tutti insieme, ahé, ahò,  sul predellino del potere, cognati, sorelle, padri putativi e compari d’anello: da qui, forse anche il titolo di ‘Fratelli d’Italia, un’ammucchiata incestuosa) e col giuramento di fedeltà agli USA e alla NATO, espletato magari con soverchio entusiasmo: ma si sa che non si tratta di dettagli e che per modificare intorno a sé il palinsesto strategico, induritosi in quasi un secolo, occorre aver messo in preventivo, oltre alla fatica – prometeica – e alla pazienza di Giobbe, anche la possibilità di finire assassinati, che in questo Paese, si prospetta col ghigno luciferino e con gli artigli gocciolanti sangue, non appena voltato l’angolo, come nelle locandine dei film horror degli anni 50.

L’asticella però in questi ultimi giorni si è alzata quasi di scatto con l’apache che potrebbe aver  abusato della donna bianca per rifarsi dei torti subiti dal soldato blu e con madame De Pampadour, regina della Versilia, che ha messo in berta, con un gioco di prestigio durato appena mezz’ora, oltre un milione di euro spartendolo con la madre dell’apache, fermo restando che avrebbe fatto meglio a rifuggire dalla carica di ministro per il Turismo, ove è approdata, con aristocratica nonchalance, nonostante sia comproprietaria di un ‘modesto’ stabilimento balneare a Forte dei Marmi, dove una giornata distesi al sole costa la bellezza di mille euro, il salario di un morto di fame.

Quanto più si alza l’asticella tanto più è a rischio la narrazione, cara agli sprovveduti e  agli illusi, secondo cui la Destra e la Sinistra, nello scambiarsi continuamente di posto, ora al Governo, ora all’Opposizione, garantiscono la tenuta dell’ordinamento democratico: anche quando 1), non è necessario avere la più pallida idea di chi siano gli abitanti del proprio collegio elettorale, ai quali peraltro si è del tutto sconosciuti, come è successo a tale Marta Fascina, l’ultima fiamma di Berlusconi; 2) coloro che partecipano al rito del voto rappresentano un’esigua minoranza  rispetto a coloro che lo ripudiano standosene a casa; 3) la soppressione delle sezioni territoriali ha di fatto trasformato i partiti, indipendentemente dalla loro denominazione, in dei comitati di affari  che non hanno più alcun rapporto con la società civile (ne è una prova indiretta la loro tendenza a chiudersi sempre più spesso in una logica nepotistica, come già accennato nella premessa) e ai quali si accede comprando più cartelle possibile (leggi donazioni)  per   ottenere una qualche candidatura, comunque con la certezza che il tempo speso  per  schivare le coltellate alle spalle vibrate dai concorrenti e per ingraziarsi il leader di turno sarà inevitabilmente a discapito di quello che gli tornerebbe utile per capire  come è fatto e come funziona il mondo che si è ripromesso di governare.

L’ultimo episodio, dal quale si può trarre legittimamente il pretesto per inferire che  non c’è niente, tranne un manichino di legno, sotto il vestito della  cosiddetta ‘democrazia’ (rubo da Giulietto Chiesa) e che la liturgia del voto, a cui si prestano sempre meno persone, costituisce la stazione, iniziale e terminale insieme, del processo che  trasforma, quasi d’incanto, delle associazioni private (i partiti) in soggetti attivi  del sistema istituzionale, è  quello che ha visto come protagonista qualche giorno fa  uno  dei più giovani esponenti di FdI, Giovanni Donzelli,  allorché, per rintuzzare l’attacco sferrato contro la Santanché dall’Opposizione DEM, ha dichiarato, assiso in uno studio televisivo, che a Sinistra campeggia il convincimento che ‘tutti debbano vivere con il reddito di cittadinanza e pensano ai posti pubblici o a quelli del sindacato, ma per fortuna in Italia l’economia regge grazie a degli eroi che sono imprenditori italiani che rischiano in proprio per tenere in piedi le aziende’.

 Al riguardo, giusto per evidenziare come tutta questa requisitoria tradisca una visione distorta, e quindi impolitica, delle vicende economiche del Paese, faccio riguardosamente notare al ‘pipistrello’ (che deve tale epiteto non al fatto di essere stato un giorno appeso per le caviglie, a testa in giù, dalla finestra al terzo piano della Facoltà di Scienze Politiche di Firenze da un manipolo di studenti dell’altra sponda, quanto piuttosto alle orecchie, grandi come parabole della NASA, che gli servono per captare  e per decifrare alla bell’e peggio i segnali che s’intrecciano nell’ immensità dello spazio)  che, PRIMO,  non consta che si sia mai sviluppata una corrispondenza di amorosi sensi tra – mettiamo- l’ufficiale dell’Esercito, il medico di famiglia e le Sinistre, alle quali il lavoro, nell’iconografia ereditata dall”800 deve avere almeno le mani callose e l’aspetto del cafone che si fa avanti, incazzato, nel ‘Quarto Stato’ di Pelizza da Volpedo.

SECONDO, che una considerevole quantità di voti si è sicuramente staccata dal bacino del ‘Posto Fisso’ per andare a riempire l’invaso elettorale dei Fratelli d’Italia, e che non sapersi capacitare di tale passaggio non rappresenta un titolo di merito  per chi vuole insistere nel mettersi alla prova sul quadrato della Politica.

TERZO, che il  Posto Fisso che si usa spesso associare indebitamente alla macchietta di Fantozzi, è, nella maggior parte dei casi, il frutto di una scelta ponderata, da parte di chi, pur di sentirsi utile alla  società, e per sottrarsi alle metereopatie del Mercato, si accontenta di percepire una paga lillipuziana, questa, sì, una dimostrazione di eroismo, la responsabile adesione al progetto metafisico di una società e di uno Stato.

QUARTO, che le ‘Partite IVA’, per le quali stravedeva un genio incompreso della Destra, come Gianfranco Fini,   appartengono anche a coloro che ti offrono uno sconto in cambio della rinuncia a riscuotere la fattura, il più diffuso e il più banale degli espedienti che si mettono in atto per eludere il Fisco.

QUINTO, che non c’è niente di epico nella creazione di posti di lavoro da parte di un imprenditore quando essi siano finalizzati alla realizzazione dell’impresa, specie, poi, se i lavoratori sono malpagati o, ancor peggio, se sono puntualmente deprivati dello stipendio, a meno che non si voglia chiamare in causa gente come Adriano Olivetti o come Enrico Mattei, che costruirono a proprie spese, intorno all’idea del lavoro, il sogno di una società migliore, quella che confliggeva con gli interessi strategici dell’occupante americano.

Ma questo è un altro discorso.

 

Immagine: https://www.italiaoggi.it/

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