Due lugubri commedianti

 

Due lugubri commedianti

La Storia, anche la più recente, ci ha offerto diversi esempi di persone e di comunità che si sono tirate fuori da una situazione catastrofica e si sono lasciate alle spalle il loro passato fatto di disillusioni e di angosce.

Il male é un composto biodegradabile, a patto che si tenga a debita distanza dalla dimensione del ridicolo, dove, nel precipitare, contrae la durabilità del cesio e induce coloro che lo subiscono ad una tolleranza eccessiva: ci si fa il callo, si perde la capacità di opporvisi, di reagire, specie se ricalca il Vaiont tracimando nel territorio della politica. Si può infatti essere certi che, se per più di vent’anni Berlusconi non avesse tenuto banco con delle scene comiche, il signor Grillo si sarebbe rassegnato a sgranare il rosario dei suoi impetuosi monologhi, rilasciando lapilli di saliva in tutte le direzioni, in qualche TV privata, di quelle che campano con la pubblicità delle pentole a pressione e delle pozioni magiche per l’amica che se la tira. Entrambi nascono nel piccolo schermo, la cornice naturale di tutto ciò che é friabile e fatuo, ma che, tuttavia, fa presa sul grosso pubblico o, per meglio dire, sul pubblico grosso che si rifiuta di pensare e si strafoga di spot, noccioline per il cervello. Prima che questo strano saltimbanco irrompesse sulla scena italiana – e dove, se no? – il sorriso largo come quello di Cheeta, che sa di poter contare sulla protezione da lassù di un Tarzan invisibile, il sound del Paese era ritagliato sull’onda lunga, sul mezzofondo.

L’informazione, nel prendersi dei mesi, e talvolta degli anni, diveniva formazione, facendo da doposcuola. Il cadavere di Wilma Montesi dondolò per un sacco di tempo alla mercé del bagnasciuga di Torvaianica, prima di essere smaltito da un’inchiesta addomesticata. I carri armati di De Lorenzo rombano ancora su via dei Fori Imperiali, per chi ha buon udito, nonostante siano stati declassati a ferraglia. Pare che Pisanò non abbia mai smesso di perseguitare l’esponente del vecchio PSI, Giacomo Mancini, e che i custodi dell’Ade facciano fatica a spiegargli che il pubblico se n’é andato e stanno già spegnendo le luci: tutto questo mentre Moro, il 9 marzo del ’78, seduto sul sedile posteriore della FIAT 130 che lo sta portando a Montecitorio, apprende dalla prima pagina de ‘La Repubblica’ di essere ‘Antelope Cobler’, cioé il percettore massimo delle tangenti Loockeed pagate per favorire l’acquisto dei caccia F 104 da parte del Governo italiano, e che, quindi, può permettersi il lusso di ‘espiare’ offrendo consenziente il collo alle controfigure delle Brigate Rosse che lo stanno aspettando in via Fani.

Neppure il caso Palamara – spia di un’intossicazione profonda che annuncia la dittatura, ma di una specie del tutto nuova che propone l’apoteosi degli imbecilli, purché facciano tutti insieme appassionatamente da schermo ai delegati italiani del NWO – resiste al logorio della vita moderna. La memoria collettiva é disturbata dal ronzio inconcludente e massivo dei media asserviti al regime, e non sa più distinguere, stordita dal brulichio, i fatti che hanno una scadenza ravvicinata da quelli che sono già nel futuro. Tutto questo casino é cominciato con l’avvento di Berlusconi e con le sue TV che sfornavano spazzatura: gli algoritmi dell’intrattenimento televisivo, fatto di niente e di nulla, che diventa(va)no per simpatia -essendo lui il detentore di entrambe le leve – gli algoritmi della politica.

Il Berlusconi che adesso sporge la testa fuori dal carapace pieno di ragnatele, seguendo l’istinto che lo conduce dove può mettere a frutto il suo esangue titolo elettorale, é lo stesso personaggio che intercedeva per la nipotina di Mubarak, emulando Boccaccio. E’ il ruffiano che baciava le mani di Gheddafi, appena arrivato a Roma con tutto il suo caravanserraglio, per poi tradirlo – un vero coup de theatre – mettendosi al servizio dei Francesi che lo volevano morto per estromettere gli Italiani dalla Libia. E’ il guitto mordace che componeva ditirambi pensando al ‘culone’ della Merkel imbottito di cellulite, ma che in Europa, – l’erba di casa loro, dei Francesi e dei Tedeschi – ha sempre, invariabilmente, detto di sì, scuotendo il capo da sopra a sotto come quei cagnolini trash, di resina e di velluto, che un giorno spuntavano da dietro il lunotto posteriore delle utilitarie scaciate. Fa riflettere il fatto che un simile individuo, all’indomani della liquefazione della Prima Repubblica, abbia conquistato il potere, convinto di due cose. Una, che per accattivarsi il consenso sarebbe stato sufficiente aggiungere alla politica – troppo seria, troppo distante dall’uomo della strada – delle note dolciastre, ibridandola con l’avanspattacolo. L’altra, che, per scongiurarne il rigetto, dopo i fasti nefasti della partitocrazia, sarebbe stato meglio farne il meno possibile, nascondendo sotto l’ologramma dei comunisti – che non c’erano più – quella a basso voltaggio che coincideva col fatturato di Mediaset. Che tale impostazione – la politica come prolungamento del palcoscenico – abbia avuto successo é dimostrato dalle lunghe file che si sono formate davanti al botteghino da coloro che amavano Berlusconi, ma anche dal seguito ottenuto da Grillo – un comico sui generis, un’altra creatura del teleschermo – che di Berlusconi ha molti soldi in meno ma la capacità  di  azzeccare tutti i pronostici, un profeta di sventure che non sbaglia mai, la storia del Paese che   progredisce a zig zag sottotraccia. Fu infatti Grillo a fornire, con un anticipo di sei anni, le coordinate alla magistratura per il bombardamento del PSI, e lui a ripetersi, prima col predire il tonfo della Parmalat, poi, più di recente, nel mettersi la mascherina sul viso quando nessuno sapeva ancora nulla del Covid 19 e delle stragi che avrebbe seminato nel mondo.

Insomma, non una tragedia, di quelle accompagnate dai corifei, ma l’esibizione di due lugubri commedianti, e gli spettatori – un popolo – che non sanno più come districarsi, tra Shakespeare e l’Ambra Jovinelli: la cosa peggiore.  

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