La questione ambientale è da tempo al centro del dibattito mondiale, il modello di società capitalistica in cui viviamo sta compromettendo l’ecosistema in modo definitivo. L’aria è sempre più inquinata e contaminata da nanoparticelle, lo stesso vale per l’acqua e la terra, risultato di un produttivismo industriale sempre più inumano. La biodiversità è in pericolo, le condizioni nutrizionali del suolo versano in pessime condizioni, l’utilizzo scellerato di agrofarmaci senza una gestione agronomicamente consapevole delle colture, sta provocando la comparsa di ceppi batterici e fungini sempre più resistenti. Le concentrazioni di gas tossici nelle città e non solo, hanno superato ormai i limiti del possibile.
Molti movimenti ambientalisti negli anni hanno cercato, certamente in buona fede, di salvaguardare l’ambiente, di difendere la natura contro l’opera distruttiva moderna, finendo però quasi sempre a lavorare per “i padroni del vapore”. L’ultimo caso è quello della arrogante ragazzina svedese, usata dalle élite come arma di “distrazione” di massa.
C’è infatti un grande equivoco; quando si fa riferimento alla questione ambientale, si parte solo e soltanto da un presupposto liberal-capitalista, ovvero si cerca di impedire la distruzione del pianeta Terra, con gli stessi mezzi che la stanno causando. La crescita verde, lo sviluppo sostenibile, la solidarietà fintamente ambientalista dei potenti, si scontrano contro la dura realtà dell’impostazione capitalistica del mondo, cioè contro la logica del profitto, l’individualizzazione del lavoro, il produttivismo, la crescita illimitata. La verità è che l’economia e l’ecologia obbediscono a leggi nettamente diverse, addirittura contrapposte, l’ecologia è incompatibile con il capitalismo, poiché è il capitalismo il principale attore della distruzione del pianeta.
Andiamo per gradi; le possibilità del pianeta Terra sono limitate, nel senso che hanno, da un punto di vista fisico, chimico, biologico, un limite, un punto di arrivo, una fine. Le ambizioni del capitalismo sono infinite, infinita è la possibilità di crescita come lo è la possibilità di accumulare ricchezze. In questa dimensione infinita in cui il capitalismo opera, non vi è spazio per nessuna alternativa verde, poiché il paradigma che sta alla base di una visione ecologica del mondo, è in netto contrasto con quella logica del profitto che sta alla base dell’accumulazione capitalista. La crescita illimitata è un’utopia ereditata dal secolo scorso, di cui dobbiamo prontamente liberarci, come peraltro del produttivismo, ovvero l’insana logica per la quale l’obbiettivo è produrre sempre di più e a basso costo, così facendo – sempre in proposito della logica del profitto, ovvero delle leggi del mercato – non è possibile porre attenzione alla sostenibilità ambientale (e/o sociale) di un prodotto, si produce quello che costa meno, dove costa meno, nel modo che costa di meno.
Dove regna il Dio denaro, non può regnare la Natura. L’ecologia è quella scienza che studia le relazioni tra l’uomo e l’ambiente, da qua discende il significato profondo della visione ecologica della vita e del mondo, che è spirituale, identitaria più che mai, comunitaria, e soprattutto naturale, cioè in linea con l’ordine naturale delle cose, distrutto dal liberal-capitalismo. Abbiamo accennato precedentemente all’individualizzazione del lavoro, ebbene chi crede che la questione sociale sia sconnessa da quella ambientale, fa parte di tutti quegli stolti che credono di combattere la distruzione del pianeta usando gli stessi mezzi del liberismo e magari andando a parlare con chi ne è la causa. Il lavoro da sempre è un’opera comunitaria, fondamento della comunità e azione socializzante, ma nella società liberista il lavoro non è comunitario e non è socializzante, poiché è individualizzato, cioè mutato di fine; non più per il bene della comunità, ma per la soddisfazione materiale privata.
Ma comunità significa solidarietà, protezione, salvaguardia del proprio territorio e del proprio contesto culturale, linguistico, ambientale in toto. Tale sconnessione quindi, figlia ancora una volta del capitalismo peggiore, ha contribuito al distacco progressivo dell’uomo dalla natura, perciò alla rottura di quell’equilibrio antropologico che deve necessariamente sussistere tra uomo e natura.
Smettiamo quindi per favore di raccontare frottole, e armiamoci di coraggio. Chi vuole davvero salvare il pianeta dall’inquinamento di acqua, aria, terra, perdita di biodiversità, desertificazione, erosione del suolo, contaminazione da nanoparticelle ecc., abbia il coraggio e l’intelligenza di dire che il paradigma di base deve cambiare. Per salvare il pianeta è necessario distruggere il capitalismo, e costruire un mondo in cui l’uomo viva in armonia con la propria comunità, perciò anche con l’ambiente che lo circonda, di cui fa parte. Tutto il resto è un palliativo, uno stolido tentativo di dipingere di verde quello che mai potrà esserlo.