Essere internazionalisti, esserlo bene

 

Essere internazionalisti, esserlo bene

Nel Marxismo la riflessione sulla questione nazionale ha avuto due momenti riconoscibili: le opinioni di Marx sulle nazionalità oppresse del XIX secolo e le riflessioni di Lenin e Stalin sulla nazionalità in URSS negli anni ’20 del XX secolo. Ad oggi questo dibattito è tornato di moda. È di sicuro una notizia molto positiva: questo articolo vorrebbe portare una piccola goccia d’acqua a questo dibattito.

 In seguito, negli anni ’40, vi sono stati due ulteriori interventi sul tema, questa volta spostati sulla questione internazionalismo/cosmopolitismo, e ci riferiamo alle posizioni dell’italiano Lelio Basso e del bulgaro Gheorghij Dimitrov. Entrambi attivi negli anni ’30 e gli anni ’70, sono conosciuti per aver affrontato il problema della differenza tra cosmopolitismo borghese ed internazionalismo proletario; a causa della icasticità di alcune loro prese di posizione, li prendiamo in esame.Queste citazioni, quando vennero esposte avevano una utilità nel foro esterno, cioè nella polemica che vedeva le destre europee attaccare i socialisti ed i comunisti di essere antipatriottici e pertanto inaffidabili. La ripresa di queste citazioni è adesso invece utile nel foro interno, cioè per dirimere l’estremo caos di opinioni attorno alla questione delle patrie, nella veste inedita della lotta per la sovranità nazionale.

 La posizione di Marx sull’internazionalismo già ai tempi non era dettata da un arbitrio politico, quanto invece da una considerazione materialistica. Il capitalismo fin dall’età moderna si era andato specializzando, nella direzione cioè di distinguere, dentro una società, i ruoli del processo produttivo. Commercianti e produttori, una volta raccolti insieme nella figura dei mercanti trecenteschi, nel corso dell’età moderna si erano distinti bene. Il produttore-commerciante, cioè il contadino che vendeva le sue eccedenze al mercato era scomparso, sostituito dal possidente e dal lavoratore salariato senza margine di vendita autonomo. Così questo processo di scomposizione aveva investito anche i paesi, secondo il canovaccio già proposto da Smith: un paese specializzato in poche (od una) produzione avrebbe nettamente migliorato la qualità e la quantità della sua produzione, ed inserito in un contesto di altre nazioni specializzate avrebbe ottenuto vantaggi sensibili.

 Il capitalismo per sua stessa natura organizzativa e materiale si orientava ad essere globale, o a non essere. Questo fatto incontrovertibile trovava in Marx una risposta coerente e conseguente: anche il proletariato doveva combattere sul piano globale, pena lottare su livelli diversi (ed inferiori) con un nemico in posizione migliore. L’internazionalismo di Marx non deriva quindi da una svalutazione della nazione ma da una deduzione strategica da un impianto solido.

 Svolgendo in tal senso la riflessione anche la differenza tra cosmopolitismo e internazionalismo viene fuori. Mentre per il marxismo l’internazionalismo è un’opzione di collaborazione tra pari, per la borghesia internazionale (e quindi i liberisti, anche se ammantati di nazionalismo) il cosmopolitismo è un destino ineluttabile. La specializzazione della produzione, svolta da Smith e approfondita da autori come Wallerstein, è niente di meno che la coerente realizzazione dell’ontologia stessa del libero mercato: un mondo unito ed un mercato assoluto – sciolto da qualsiasi catena. Come per i problemi ecologici, inaffrontabili in una dimensione nazionale, così è necessario porre in essere lo scontro e la risoluzione dei problemi del capitalismo globale.

 Occorre pertanto ricostruire le nostre posizioni di internazionalismo e sovranismo, opportunamente miscelati, basandosi su un’analisi reale del capitalismo e non sull’edificante ma astratto amor di patria.

 

 

 «Il cosmopolitismo senza patria, che nega il sentimento nazionale e l’idea di patria, non ha nulla da spartire con l’internazionalismo proletario»  G. Dimitrov, dal suo diario del 12 Maggio 1941

 “Ma così come il sentimento nazionale del proletariato non ha nulla di comune con il nazionalismo della borghesia, così il nostro internazionalismo non ha nulla di comune con questo cosmopolitismo di cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale». Lelio Basso, intervento al parlamento italiano del 13 Luglio 1949

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