Fare o agire? Il caso dei gemelli nati modificati geneticamente

 

Fare o agire? Il caso dei gemelli nati modificati geneticamente

Dalla Cina si parla di “creazione” e protezione. È il caso dei due gemelli nati geneticamente modificati con l’intento –stando alle dichiarazioni degli esperti- di renderli resistenti al virus dell’HIV, del colera e del vaiolo. La notizia si è rapidamente diffusa nella veloce condivisione tipica dell’epoca attuale, riportando le dichiarazioni senza precedenti dello scienziato cinese He Jiankui di Shenzen, il quale ha reso noto il procedimento adottato per ottenere le due bambine. La comunità scientifica retrocede dallo sconcerto dovuto all’annuncio ufficioso, il quale parrebbe voler costituire un primato mondiale più che un supporto medico convalidato da relative pubblicazioni scientifiche. Ciò a cui siamo stati posti innanzi, con impetuoso rammarico per gli addetti ai lavori e brivido progressista per coloro che all’udire di uno scontro sanguinoso fra uomo e sorte nefasta scommettono sull’uomo prometeico, è una sperimentazione scientifica su essere umano avente come unica finalità la modificazione del patrimonio genetico senza sufficiente conoscenza circa gli effetti postumi generazionali oltre che individuali a carico delle piccole pazienti sane. A fare notizia non è stata la netta manipolazione indebita di alcuni uomini su altri loro simili, ma l’ammortizzatore ricoperto dall’effetto “beneficio” che tale intento dovrebbe -per la massa- coprire. Come spesso accade, ogni rivoluzione arriva appoggiandosi delicatamente in un cuscinetto di normalizzazione attivo o da attivarsi con la rapidità consentita dalla disponibilità di notizie più che di concreti contenuti. Jiankui difende la propria posizione sostenendo di aver voluto segnare un principio dapprima inesistente per poi, di fatto, abbandonare la causa alla società che dovrà ergersi a giudice di una ridondante “eugenetica degli uguali”, ovvero quella sottile demarcazione fra l’indisponibilità dell’essere umano in quanto differente per natura agli altri enti, fra cui i prodotti in primis, e il sentimentalismo egualitario dove poter essere chiunque si traduce -come nel caso suddetto- nella preferenza di essere diversamente da come si è, una comune incapacità di non compiacere l’egoismo. Logica che ha destinato gli embrioni fabbricati da sette coppie sottoposte a tecniche di fecondazione in vitro, appositamente utilizzati cercando di ottemperare il buon esito del programma di ricerca, a divenire notizia, come nel caso delle gemelle, o restare nel silenzio che avvolge il materiale di scarto.

CRISPR- Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) è una tecnica di ingegneria genetica la cui innovazione consiste anzitutto nella precisione: viene infatti chiamata “forbice biologica”, in grado di tagliare la zona di DNA interessata generalmente considerata “difettosa”, dopodiché rimuoverla o sostituirla. Altri vantaggi consistono nei costi contenuti rispetto ad altri opzioni preesistenti questa metodologia, efficienza e minore complessità di realizzazione. Un mezzo potenzialmente valido, in grado di ampliare enormemente le conoscenze sulla struttura del genoma e dello sviluppo cellulare, ma altresì arma per mettere in atto variazioni non terapeutiche (enhancement) del genoma umano legate all’ereditarietà senza garanzia alcuna del controllo sugli effetti. Tra le numerosissime opposizioni etiche globali a riguardo, ci si potrebbe chiedere secondo quale criterio e per voce di chi dovrebbe legittimamente darsi il miglioramento di un altro uomo secondo direttive tanto gravi da creare una frattura così radicata nel tempo, conseguenza di un uso non pienamente padroneggiabile delle tecniche di editing genetico (la letteratura scientifica sa bene che la precisione del taglio ha altissime probabilità di variare geni non interessati alle modifiche). Nel caso delle due gemelline non mancano autorità scientifiche già esposte in seria contraddizione con l’intento terapeutico svelandone, in totale trasparenza, l’evidente tentativo di applicazione su essere umano di una tecnologia finora oggetto di prova su animali, ancor più se si considera che il rischio di contrarre la malattia permane.

Ci si domanda: oltrepassando le aspettative sociali, culturali, genitoriali, economiche, politiche, quelle due gemelle cosa potranno dire sulla propria identità interfacciandosi con un corpo il cui divenire programmato per soddisfare l’ideale di figlio o di persona imposto (invece che accolto) al perché della loro esistenza? Uscendo dall’appiglio strategico orchestrato al fine di rendere il mondo spettatore di una pseudo vocazione terapeutica, se la finalità fosse una conversione malata e distorta della concezione immatura di felicità e benessere presente nelle intenzioni dei donatori di gameti (“stranieri morali” attori di una gaia disperazione dove “meglio” è quanto soddisfa il singolo) come avrebbe potuto la nuova creatura svincolarsi dall’irreversibilità patologica di qualcuno che ha deciso secondo criteri arbitrari quale fosse il design più accettabile perché quel figlio potesse mostrarsi come accettabile?

La sperimentazione è un sapere che si fa potere, ma il potere, in particolar modo se legato alla tecnica, non è neutrale, esso infatti risponde alla dignità dell’uomo, protetta da qualsivoglia sfruttamento che riduca il paziente-complice in paziente-cavia. L’obbligatorietà morale che universalmente contraddistingue l’agire dal produrre quando si tratta dell’essere umano, presenta ancora una volta il quesito: è per l’uomo o sull’uomo?

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