Fateci caso

 

Fateci caso

Sulla ribalta del 6 gennaio, in quel di Washington, sono accadute molte cose strane, la prima delle quali é che una torma di persone dotate di spirito picaresco é potuta entrare, pressoché indisturbata, nel Capital Hill, cuore della democrazia americana, per significare di essere d’accordo con Trump sulla necessità di annullare, per brogli, l’elezione di Biden.

In un video che é circolato per alcune ore su Facebook si nota chiaramente un poliziotto che sposta le transenne e che invita, con un largo movimento delle braccia, i manifestanti ad entrare nell’area intorno al Campidoglio: un palese attestato di complicità da parte di un tutore della legge nei confronti di coloro che la stanno violando. Ne consegue il sospetto che l’invasione di uno dei templi della democrazia americana fosse stata incentivata e controllata per sospingere Trump/Catilina, capo dei ‘populares’, a battere in ritirata, circonfuso dall’ignominia, e per fornire a Biden/Cicerone, il candidato degli ‘optimates’, la possibilià di mostrarsi di fronte all’opinione pubblica come colui che ha sconfitto il nemico della Patria e che emerge, armato di una virginale innocenza, dalle ceneri ancora calde di un golpe abortito.

Non sacrifico la mano per la smania di scommettere sulla plausibilità, piena o parziale, di questo scenario. Mi preme soltanto far presente che per legittimare l’invasione della Polonia – i carri armati che ruggivano col motore acceso a ridosso della frontiera – Hitler avvertì il bisogno di confezionare il casus belli con la simulazione di un attacco da parte di soldati polacchi alla stazione radio di Gleiwitz: non c’é mai niente di nuovo sotto il sole, tranne che non venga contraffatto dalla propaganda, una vecchia signora da marciapiede che batte – ormai sono settant’anni – anche da queste parti.

La farsa di Washington farebbe ridere se non avesse avuto per vittima una donna – tale Ashli Babbit, veterana delle guerre in Afghanistan e in Iraq – abbattuta con un colpo di pistola nel salone centrale del Campidoglio. Coloro che fanno questa fine muoiono convinti di essersi immolati per una giusta causa e di essersi procurati il pass per un posto in prima fila nel paradiso degli eroi. Per lei, da parte dei soliti media che amplificano la voce del padrone abbaiando dentro un grammofono, c’é stata nel migliore dei casi, accanto agli insulti, la riproposizione di un implacabile adagio, quello secondo cui la difesa della legalità comporta dei costi e che, a pagarli, senza dilazioni, debbano essere chiamati coloro che le si oppongono. La regola, all’apparenza ineccepibile, s’inceppa però quando il trasgressore viene da sinistra, come nel caso di Carlo Giuliani, il ragazzo che fu centrato in testa da un carabiniere durante i disordini del 20 luglio del 2001, in occasione del G8 di Genova. Anche lì, c’era stata una flagrante opposizione all’ordine costituito, con l’aggravante dell’uso di un’arma impropria – un estintore – ma la pietà, che gorgoglia spontanea in presenza di un morto ammazzato per le sue idee, lì debordò innalzando Giuliani sugli altari della Sinistra già mezza fucsia, mentre qui é andata in tilt  facendo scivolare la veterana dell’Air Force nel tubo di scarico della Storia nana, l’eco del camion che passa sferragliando davanti a De Niro in una delle ultime scene di ‘C’era una volta in America’.

Miracoli della propaganda, il pascolo delle élite, che possono fissare a loro piacimento il valore morale degli eventi, anche quando, emendatisi dagli eventuali difetti di fabbrica riscontrati nel calco originale, essi si arrampicano sull’albero dei ricorsi storici di G.B. Vico.

Gli studi di eugenetica di Mengele fanno ribrezzo, ma di questi tempi se ne vedono molti altri in giro che brandiscono una siringa e che vanno ripetendo, ad ogni piè sospinto, che il metabolismo lento dei vecchi non solo danneggia l’economia ma ne costituisce la negazione perché il progresso si basa sui tempi ristretti del consumismo, sull’usa e getta, sull’eternità dell’effimero.

Un po’ di Mengele sopravvive e riemerge anche nella guerra ai poveri, che non possono più permettersi, in quest’epoca contrassegnata da una ciclopica recessione, neppure una riga di rosso sul proprio conto corrente, semmai ne abbiano uno, a pena di pubblicazione sull’albo degli insolventi, la stella a sei punte impressa  con lo stampo di ferro sulla fronte di chi non ha più niente o é lì lì, il preambolo di un’ulteriore predazione, la casa dopo il vestito (mi ritornano in mente gli indumenti fatti lasciare agli ebrei che s’incamminavano verso le docce), achtung, march. E ce n’é anche in queste due o tre generazioni di giovani che si sono immolati sulla play station a cominciare dal periodo in cui l’economia schienava, con una rotazione assassina,  la politica con la p maiuscola: ma il trend, nel proseguire, s’incattivisce, generando l’angoscioso sospetto che ne verranno ancora delle altre – intendo dire, delle altre generazioni, dei vuoti a perdere, un’extrasistole interminabile – se la politica non si sarà ripresa nel frattempo  le prerogative che le spettano.

Lo specchio curvo della propaganda politica restituisce – capovolti e sfocati – diversi altri frammenti di un passato che si sarebbe voluto cancellare. Il rogo dei libri perpetrato sullo sfondo della svastica  concede, a distanza di così tanti anni, un’infinità di repliche, nelle pubblicazioni per la scuola redatte ad usum delphini, nell’annotazione sulla lavagna dei ‘buoni’ e dei ‘cattivi’ ad opera di Zuckerberg, nella distruzione del Foro Italico e nella messa al bando di alcuni formati di pasta, inopinatamente ‘fascisti’, invocate dal mainstream radicalchic che trova libero sfogo nel sorriso irregolare di Gard Lerner e negli occhi spiritati della Boldrini, il pallido lucore di un altro rogo, che consuma molto di più bruciando molto di meno.    

 

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