Felici (ma non troppo) per l’avanzata sovranista
Finita la partita delle europee, si ritorna con i piedi per terra si riprendono i contatti con la realtà, il che ci permette di azzardare alcune riflessioni necessarie, oserei dire doverose, sul risultato elettorale e sul significato politico reale di questa metaforica e confusa entità quale pare essere il sovranismo.
Percentuali bulgare in Italia, dove la Lega prende da sola il 34%, in Francia il Rassemblement National di Marine Le Pen batte il despota Macròn, lo stesso succede in Gran Bretagna per Farage, e in generale in tutti paesi del gruppo di Visegrad. Grande assente in questa prestazione al rialzo è la scena politica tedesca, che sembra non mutare poi molto.
Tuttavia, nonostante i positivi risultati ottenuti dai sovranisti, poco nell’Unione Europea cambia; in primis poiché l’assegnazione diversificata dei seggi da paese a paese, unitamente alla congiuntura continentale in merito al posizionamento politico nei gruppi del Parlamento Europeo, non permettono al fronte sovranista di ottenere nessuna maggioranza. In seconda istanza, sarebbe utile domandarsi se e a cosa servirebbe avere una maggioranza in un Parlamento che in realtà non ha alcun potere, rispetto a quello della famigerata Commissione e della BCE. Altra importante questione, se anche i risultati elettorali fossero stati ancora più soddisfacenti di questi, il sovranismo sarebbe riuscito, nel lungo o nel breve periodo poco importa, a rompere radicalmente i ponti con quelle élite finanziarie che sempre dice di combattere?
Il problema fondamentale in realtà, è che il sovranismo, come aggettivo emotivo, metapolitico, omnicomprensivo, significa molto poco, poiché esso non è il prodotto razionale di una più ampia visione del mondo, di una dottrina politica strutturata proiettata sul lungo periodo, bensì una mera contingenza storico/elettorale, che certamente interpreta le necessità reali di una fase storica complessa, ma le riduce e le limita ad una possibilità esclusivamente riformistica e quindi liberal/liberista, come peraltro le scarne proposte politiche, economiche e sociali, di questi rappresentanti, dimostrano.
A dimostrazione banale di quanto sosteniamo, è necessario dare un’occhiata ai rapporti, spesso puramente politici e non istituzionali, di questi movimenti con le principali centrali dell’imperialismo e quindi del liberismo internazionale, quali Israele e Stati Uniti in particolare. Andando ancora più a fondo si capisce come le proposte economiche e sociali di questi partiti, escluse quelle della signora Le Pen, non vertono ad un cambiamento strutturale dell’assetto sociale del paese, ma sono legate a doppio filo con le necessità del capitalismo industriale, messo in crisi in questi anni dal capitalismo finanziario.
Due facce della stessa medaglia insomma, la storia è sempre la stessa. Destra e sinistra, categorie geografiche del liberismo, funzionali alla divisione duale e indotta del popolo, che ogni volta si allontana dalle reali prospettive di cambiamento, quindi dalle prospettive puramente rivoluzionarie.
Tuttavia, non siamo qua a discutere sul “sesso degli angeli”, o a proferire verità intellettuali che non si calano nella realtà di questo mondo. Guardando la situazione in un’ottica forse attendistica – mi sia passato il termine – forse progettuale, l’avanzata dei sovranismi è da considerarsi positiva, poiché come la storia insegna, è nelle fratture del sistema imperante che un rivoluzionario deve cercare di inserirsi e fare breccia, facendo leva sulle contraddizioni di questo sistema debolmente democratico fondato sull’utilitarismo e non su solidi valori.
Plaudiamo quindi alla vittoria (di Pirro) del sovranismo, aspettando che lo scontro tra le due facce del capitalismo si inasprisca ancora di più, per riuscire ad agire costruttivamente e dare al nostro popolo europeo un’alternativa politica reale, strutturata, rivoluzionaria.