Forze armate italiane: come l’argenteria

 

Forze armate italiane: come l’argenteria

Merita attenzione il fatto che il termine ‘credenza’ designi due cose che non paiono avere alcunché in comune. Da un lato, il mobile nel quale vengono custoditi i beni preziosi ricevuti in eredità o in dono dagli antenati: il servizio da thé rifinito in oro zecchino, le tovaglie ricamate dalla zia della moglie che, nel lavorarci sopra per anni, ci é quasi diventata cieca. Dall’altro, ‘il complesso delle dottrine che si professano in materia di religione’ e che formano, nell’incastrarsi esattamente l’una nell’altra, una ‘summa’ ideologica, sempre che tutto non si riduca all’atto di confidare, senza adeguate controprove, nell’esistenza di qualche figura mitologica o nelle storie che le si associano, come il volo a cavaliere della scopa della befana o la sparizione di questa classe politica sol che s’introduca la scheda giusta nell’urna.

Nel primo caso, l’inanità e la bellezza sono il dritto e il rovescio della medesima medaglia. Il servizio da the non si usa perché altrimenti si rompe. Nel secondo caso, il potere distorsivo della propaganda sulla realtà é talmente elevato da cancellare, ad esempio, la contraddizione che s’insinua nel rapporto tra il furgone che scende dal Brennero carico di fiale (‘il carretto passava e quell’uomo gridava vaccini…) e gli aerei che si alzano a frotte dai campi dell’aviazione militare per portare a destinazione, dalle Alpi a Capo Passero, il ritrovato contro la pandemia. Il richiamo sulla scena, accompagnato dagli applausi artificiali, di tutti i casalini che fecero grande Bisanzio, dissertando amabilmente sul sesso degli angeli, mentre il Turco era già sulle mura, la ruota dei dervisci che disintegra, girando vorticosamente, la roccia della ragione, luci troboscopiche e il catalogo completo degli effetti speciali: c’é più di un motivo per ritenere – sulla falsariga di un gioco, di assonanze incrociate, proposto dalla TV – che quel servizio da the, così bello da doversi lasciare inutilizzato nella credenza e la convinzione – non suffragata da riscontri obiettivi  (dunque, una credenza) – che lo strumento militare sia tuttora al servizio del Paese e persegua gli scopi per i quali gli Italiani sono subissati di tasse, siano due dissolvenze logiche rispetto al significato di Forza Armata o di Forze Armate, giacché si tratta, in termini di professionalità e di efficienza, di una delle migliori organizzazioni del mondo occidentale, ma incombe il forte sospetto, confinante con la certezza, che essa sia scollegata dagli interessi del Paese – inghiottito dagli ingranaggi dell’UE  e formattato ex novo dalle grandi corporations internazionali, come l’ONU o l’OMS – e non dipenda più dallo Stato, se non nella misura consentita dall’essersi trasformato, negli ultimi venti o trent’anni, in un grande cartello pubblicitario, di quelli posti dalla Coca Cola a schermo delle rovine, sulla strada per Beirut, nel ’78.

Il ritmo con cui si sviluppa la Storia può essere quello lento del bradisismo o quello precipite delle frane, che non hanno, ovviamente, lo stesso impatto sulla sensibilià delle genti, ma per l’Italia – ombelico del mondo battezzato dai grandi architetti del NWO – si é trovato un utile compromesso tra la velocità – relativa – con cui il Paese e lo Stato hanno perso i pezzi slittando  sulla china dell’ecumenismo di matrice catto-comunista, e la lentezza con cui il fenomeno si é rivelato agli occhi degli osservatori più attenti, essendo pochi gli osservatori e men che pochi gli attenti.

Cartina di tornasole di questo cambiamento é, infatti, la perdita del carattere nazionale delle nostre Forze Armate, inizialmente ammantate di un’aura filantropica. I morti di Kindu del 1961 vanno ascritti al goffo tentativo da parte dell’ONU di apporre una toppa ai guasti provocati dal colonialismo belga in Africa. Arrivammo ultimi in Iraq, come i titoli di coda di un film nei quali vengono citati, con una scansione frettolosa, i nomi del parrucchiere e quello di chi portava il cappuccino agli attori, ma per compiacere l’Alleato che aveva fatto carte false al solo scopo di liberarsi di Saddam, e bombardammo la Serbia perché ritardava l’inesorabile avanzata su tutto il pianeta degli apologeti del Mercato: la coerenza del sottomesso, che si priva della possibilità di elaborare una propria politica estera, ancorché dentro i cerchi concentrici dell’agone internazionale che fanno sistema, al punto che, per mostrarsi coerente con se stesso, non rinuncia neppure a darsi dei cazzoti in testa da solo, come é successo quando si é unito ai Francesi e agli Americani per abrogare Gheddafi.

E’ altresi’ evidente come senza una politica estera non possa esserci una dotrina militare che la supporti e la renda credibile nel corso delle emergenze. Dicevo pocanzi del bradisismo: un movimento lento, impercettibile, ovattato, il lavorio dall’interno che punta a determinare non il singolo episodio ma a creare una concatenazione di episodi, a formare una mentalità. Sicché é normale che, mentre la diaspora degli italiani con le stellette si diffonde a macchia d’olio nel mondo – dal Libano a Sharm El Sheik, dove vigilano sulla pace senza essere minimamente attrezzati per scongiurare una guerra – i turchi sfrattano la piattaforma della SAIPEM dalle acque intorno a Cipro perché é roba loro. Un beduino coi galloni da generale sequestra in mare aperto l’equipaggio di due navi italiane e lo tiene segregato per un’infinità di giorni, facendogli mangiare pane e merda, finche’ non giungono da lui Giggino e Giuseppi, le due massime autorità, dopo Mattarella, di questa strana cosa chiamata ‘Italia’ e lo implorano a mani giunte di essere clemente con gli ostaggi perché incombe Natale.

Il fatto che la Marina Militare avesse risposto picche , nell’incipit di questa storia, alla richiesta di soccorso da parte dei due pescherecci, con la scusa che essa si era andata a schiacciare tra i sospesi del contenzioso diplomatico, é, a ben vedere, un particolare irrilevante, dal momento che non c’é nessuna prora  munita di rostro che solchi il Mediterraneo all’ombra del Tricolore, ma l’esposizione galleggiante delle più belle navi del mondo, per di più accessoriate da Leonardo, argenteria tenuta sempre in tiro col sidol, venghino signori, venghino. Ma che non si parli, neppure per sbaglio, di navi da guerra, lo ha deciso questa progenie bastarda nata da un cattolico squilibrato e da un’attempata habitué dei centri sociali, quella a cui appartengono tutti coloro che, al passaggio della ‘Folgore’ si mettono di profilo e fanno la faccia seria per significare che ne sono schifati. O forse per significare, tra le righe, che la Patria é morta, o stiamo lì lì.

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