Quasi ogni giorno – e non credo che capiti solo a me – mi trovo al bivio, tra la conversione alla pesca, che é un’attività per la quale é richiesta una placida e paziente passività, e la caccia selettiva, che implica dedizione nel cercare non una preda qualsiasi, ma quella preda lì, su cui sfogare la mia cattiveria repressa.
Nessuno, peraltro, mi ha mai aiutato nel decifrare gli arcani. Ne cito, per non dovermi dilungare oziosamente con un tabulato chilometrico, soltanto un paio, sui quali sto riflettendo da un po’ di tempo, nel tentativo – vano sinora – di isolare un denominatore comune che non mi catapulti – ansioso e apprensivo, come sono – in un’inappellabile distopia.
Il primo é associato a cosa può aver spinto madame Schlein a sbottonarsi su ‘Vogue’ – che non é una rivista che normalmente si legge dalle parti di Tor Bella Monaca – per ammettere che impiega una frazione considerevole del suo tempo nello scegliersi, di volta in volta, con l’aiuto di un’amica specializzata, i colori dell’abito più appropriato per l’occasione: se la verginale propensione ad esibire, per una specie di coazione al coming-out, il lato aristocratico della sua identità, che confligge con l’essere diventata la matrona di tutti i diseredati del Paese (l’implicita ammissione, cioé, di essersi calata nei panni sbagliati e l’accusa, tra le righe, rivolta ai propri elettori, di aver preso una ciclopica cantonata); oppure, un errore – il suo – la cui gravità viene ugualmente accentuata sia dall’essersi dimenticata di essere a capo di un partito di Sinistra (che ha perso una valanga di voti proprio per essersi clamorosamente contraddetto), sia dall’esserne consapevole, immaginando che esso possa sottrarsi all’estinzione compattando i trucioli della società, come ha sempre fatto, negli ultimi venti o trent’anni, coi Luxuria e coi Sumahoro, mettendo la fatuità al posto del realismo fattivo, l’Antistato al posto dello Stato, la santa alleanza dei cialtroni e dei ladri al posto del Paese reale, che non ne può più.
La differenza tra questi due scenari, che é quella tra una persona che si é trovata quasi per caso alla testa del PD, col mandato di fargli recuperare qualche posizione nella hit parate elettorale, e di una persona che invece é stata messa lì di proposito per rappresentare la sua inevitabile discesa oltre il fondo – non si sa esattamente dove -, é comunque minima, riassorbita nella constatazione, ormai universalmente accettata dagli osservatori neutrali, che la Politica, divorata dai tic economicistici del sistema liberale, é evaporata, e che le é sottentrato il teatrino formato dal Parlamento che non conta nulla (del resto, basterebbe guardarne in faccia gli inquilini, una pletora di piccoli uomini e di piccole donne, a bagnomaria nel più squallido anonimato) e da Palazzo Chigi, il quale, nella più ottimistica delle ipotesi, può al massimo occuparsi in seconda battuta di decisioni già prese al piano di sopra, da Bruxelles o da Washington, l’atto del ruminare che si ripete all’infinito come la nota sbilenca di un disco rotto.
La dimostrazione che l”Isola dei famosi’ non é, coi suoi personaggi improbabili, lo specchio di un Paese fallito, ma la cellula staminale da dove tutto é nato, salvo rare eccezioni, condizionando ogni minimo aspetto del metabolismo sociale, l’hanno data, in questi giorni anche i sindacati confederali, che si credevano estinti, allorquando hanno reagito con inaudita veemenza all’annuncio da parte della Meloni che avrebbe riunito il Consiglio dei Ministri proprio il Primo Maggio, per deliberare su questioni inerenti al mondo del lavoro : proprio loro che l’hanno svuotato di qualunque significato accogliendo la precarietà, cantata da due aedi di vaglia come D’Alema e Scalfari, facendo spallucce davanti alla soppressione dell’articolo diciotto disposta da Renzi, rimanendo vigliaccamente a braccia conserte mentre il lavoro (che si collocava sulla stessa linea del capitale anche nella legislazione dell’epoca fascista), riprendeva pian piano i tratti deteriori della corvée, che aveva perduto a seguito delle lotte operaie dell”800.
Non ho citato l”Isola del famosi’, un programma di Mediaset, solo per evocare l’artificiosità dei ruoli – come quello del sindacato che é scivolato lentamente all’indietro, prima per assumere la connotazione ‘minore’ del patronato e, poi, per trasformarsi nel lenzuolo con due feritoie al posto degli occhi, che é quello dei fantasmi che ricorrono nei cartoons (salvo materializzarsi quando si tratti di disturbare i Governi che non si presentano come amici) – oppure per suggerire qualche osservazione, en passant, su come, di fronte al Potere, che non ha più, o non ha mai avuto, una sufficiente legittimazione, la platea dei cittadini (citoyens, in Francese, richiama alla mente la rara fattispecie di un popolo unito ed incazzato) finisca per calarsi nella parte del guardone, alla quale la cosa interessa relativamente, perché é cosa loro.
Il sindacato che non c’é. La figlia dell’accademico americano, nata in Svizzera, che si fa ritrarre sullo sfondo del ‘Quarto Stato’, di Pelizza da Volpedo, con la stessa disarmante impudenza del macellaio che posi davanti alla ‘Vucciria’ di Guttuso. Il magistrato che si mostra indulgente coi professionisti del borseggio ma mette sotto schiaffo chi osa riprenderne le imprese con lo smartphone. Nell’articolo della settimana scorsa ho parlato di metaverso, vale a dire di una realtà modellata intorno alle masse sulla falsariga del ‘Truman Show’, nella quale le ombre sono più ‘vere’ dei corpi e degli oggetti che le proiettano, e le apparenze vengono puntualmente scambiate per dei dati di fatto. Ma la genealogia dell’inganno si sviluppa a cominciare da quando, dopo aver fatto saltare la Prima Repubblica con la tecnica della demolizione controllata, usando l’esplosivo giudiziario, e per non intaccare il disegno della democrazia liberale, che fa premio, come gli aeroplani, sull’esistenza di due ali, una di destra e l’altra di sinistra, i ‘mammasantissima’ della Finanza internazionale decisero che occorreva trovare chi facesse l’ala destra, senza cadere nella tentazione di avanzare pretese nazionalistiche o di riproporre, sotto mentite spoglie, lo statalismo dei vecchi partiti sgominati da ‘Mani Pulite’, e lo trovarono in ‘Forza Italia’, la creatura di Berlusconi per il battesimo della quale furono spesi molti soldi di opinabile provenienza. Così avvenne che il ‘partito di plastica’, guidato dal reuccio di Arcore, poté ergersi come antemurale del comunismo in assenza di comunismo, mentre i post/comunisti, nel momento della transizione tra ciò che erano – per l’appunto dei comunisti – a ciò che sarebbero diventati, cioé dei ‘post’, senza più né arte né parte, ma perfettamente integrati negli organigrammi del Sistema, furono ampiamente facilitati nel perseguimento del loro unico obiettivo, che era quello di combattere il fascismo in assenza di fascismo: una missione alla quale dedicarono quasi tutte le loro risorse pensando di poter realizzare l’orrore metafisico di un pezzo della nostra storia che veniva resettato di netto – un’anticipazione di qualche decennio della ‘cancel culture’ – con la stele ducesca del Foro Italico che scompariva in una nuvola di marmo, e con il ripristino delle paludi pontine.
In ossequio al principio che la democrazia di stampo liberale é tanto più stabile quanto più nel suo seno si sviluppa ordinatamente il gioco dei pesi e dei contrappesi, l’esorcismo nei riguardi del passato operato dai post/comunisti é stato in qualche misura compensato dagli sforzi compiuti dal partito di Berlusconi per mutilare il futuro, togliendo dalla disponibilità delle giovani generazioni l’idea stessa della politica, che, da sacrificio e applicazione sui problemi, piccoli o grandi, da risolvere, a favore della collettività, é stata al loro cospetto declassata a gossip, a barzelletta, al piccolo cabotaggio, alla ridicola gittata di una pistola a schizzo: potrebbe, quindi, non essere un caso che negli studi televisivi di Mediaset abbiano fatto, illo tempore, la loro comparsa personaggi come Renzi e come Salvini, il primo dei quali passerà alla Storia per aver fatto solo dei danni, e l’altro per esserci passato solo di striscio.
Purtuttavia, ho visto molta gente sciogliersi in un’inesplicabile commozione nel cantare ‘gne gne gne, meno male che Silvio c’é’: un altro mistero.
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