Human Enhancement, dove si annidano eccesso e limite
«Ci sarà, in un delle prossime generazioni, un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici, in quanto verranno sviati dalla volontà di ribellarsi per mezzo della propaganda o del lavaggio del cervello, o del lavaggio del cervello potenziato con metodi farmacologici. E questa sembra essere la rivoluzione finale.» – Aldous Leonard Huxley, discorso tenuto nel 1961 alla California Medical School di San Francisco.
Un articolo di noti neuroscienziati in voga, pubblicato qualche anno fa su Nature (http://www.nature.com/nature/journal/v456/n7223/full/456702a.html), una delle più autorevoli riviste scientifiche attuali) ha messo in evidenza percentuali preoccupanti (dal 7 al 25 per cento) relative al numero di studenti universitari (ma anche scienziati stessi o manager) soliti usufruire di farmaci pesanti, normalmente assunti con finalità terapeutica per patologie e disturbi di vario genere, pur essendo sani, con il solo scopo di aumentare in senso migliorativo le proprie performance cognitive (memoria, apprendimento, attenzione, concentrazione, ecc…). Le sostanze in questione vengono generalmente prescritte per curare deficit di attenzione o iperattivismo (Adderall o Ritalin); per combattere la narcolessia (Modafinil o Provigil); contro la depressione (Fluxile Prozac); nei casi di Alzheimer (Aricept). L’assunzione da parte di “pazienti-non-pazienti”, ovvero soggetti sani, agisce sui deficit per i quali questi medicinali risulterebbero terapeutici, andando invece a incrementare funzionalità gestite secondo standard naturali confacenti alle possibilità dell’individuo in questione. Il dibattito attorno al potenziamento cerebrale, in generale sul cosiddetto Human Enhancement è aperto e sfida due fazioni ad interrogarsi sull’eticità di un fenomeno dischiuso a logiche efficentiste sull’uomo, dalle quali presumibilmente conseguirebbero altrettante ideologie (già abbondantemente diffuse) selettive e discriminatorie tra “uomini-normali” e “uomini-migliorati”, imperfetti e perfetti. Chiaramente lo scontro tra favorevoli e contrari non può darsi isolato rispetto alle innumerevoli -e tutt’ora poco certe- conseguenze mediche a lungo termine sui fruitori, effetti/ proporzioni rischio-beneficio da cui qualsivoglia “uso responsabile” di medicinali da parte di persone sane non può scostarsi.
Moltissime delle battaglie pro-life urtano uno stile di vita penetrato nella nostra abituale visione delle cose; una visione radicata culturalmente secondo la quale ciò che siamo non è l’accettabile, ma il migliorabile. Il termine enhancement include precisamente il concetto di “migliorabile”: fino a dove è possibile spingersi con/per sé stessi. L’enhancement farmacologico è un esempio tra i tanti idonei al compiacimento di massa perché alimenta un tipo di mentalità amante più della licenziosità che della libertà e perciò autoproclamatasi lecita in ogni scelta sul proprio corpo. Ancora una volta si agisce dimenticando che il corpo non è un contenitore diverso dalla totalità della persona e gli effetti collaterali sono l’alienazione di quello che viene compiuto dal bene, dalla volontà consapevole e da una conoscenza effettiva dell’agire legittimo. Designer baby (ingegneria genetica selettiva per figli perfetti) stimolazione cerebrale profonda migliorativa (vs terapeutica), enhancement morale (farmaci adottati per modificare la chimica cerebrale allo scopo di attivare determinati comportamenti tipo empatia, coraggio, forza eliminazione della timidezza, ecc..), impianto di protesi meccaniche nel cervello, microchip, ecc. Che opzioni vogliono essere per gli esseri umani? Ciascuna di queste audaci, innovative tecniche domandano che supereroe si desidera diventare in una normalità che ha ridimensionato sia gli standard sia la semantica del perfettibile. Difettosi saranno i temerari tradizionalisti corazzati contro la fusione natura-artificio, limite-abbondanza, terapeutico-desiderato, ma l’interrogativo è chiedersi in che mondo potranno sopravvivere se questa realtà sarà frammentata in umani-più-capaci versus umani-solo-capaci. Ovviamente l’esito risulterà a discapito della spontaneità antecedente l’espressione delle naturali inclinazioni, con soppressione delle differenze a favore del rendimento: in sintesi una tolleranza minima per i “deboli”, un netto vantaggio per il conformismo sociale in ottemperanza alle sue pretese e, non in coda, la soppressione del dominio di sé (così pavoneggiato oggi!) e della maturazione caratteriale attraverso strumenti sostitutivi, soppressivi o stimolanti che agiscono fuori dalla volontà, tolti alla naturalità del “talento” personale.
Il terreno su cui poggiano moltissime offese alla vita è zeppo di supereroi transazionali, aspiranti umani (e non più il contrario): i mortali hanno smesso di credere alla loro contingenza perché gli è stato detto che i supereroi oggi camminano in mezzo a loro, perciò ammirarli è sforzo inutile se c’è la possibilità di raggiungerli e superarli. Per questo si dice che i il super-uomo è ciò a cui il vecchio supereroe tende. Finora l’unica certezza alla quale si è giunti è che i poteri dei super-umani improvvisamente svaniscono, i progetti sfumano, le debolezze emergono e i due mondi (supereroi e superumani) tornano ad essere differenti e divisi.
PALAZZANI, L. (a cura di), Verso la salute perfetta. Enhancement tra bioetica e biodiritto, Edizioni Studium, Roma 2014, pp. 30-31