I gendarmi di Pinocchio pagati dalle mafie istituzionali
Nella bella Roma di Roberto Gualtieri il normale cittadino subisce quotidianamente angherie giudiziarie, fiscali, tributarie, bancarie, amministrative… Quando s’indigna riceve la visitina dei gendarmi di Pinocchio. Così capitava che, qualche mese prima della pandemia, un istituzionale in auto blu e Rolex al polso veniva ascoltato comiziare in pubblico di “povertà sostenibile”, ad ascoltarlo gente vicina e lontana dall’assise pubblica, e proprio a maggior distanza arrivava la risposta di un goliardico buontempone: “Buffone! Almeno levati il Rolex dal polso quando ci dici che dobbiamo accettare supinamente la povertà”. La scorta del dirigente di Stato identificava il probabile autore della risposta e procedeva alla denuncia. A distanza di anni lo Stato ha presentato il conto al guascone. Ed ora ci chiediamo chi sia il malfattore: chi da del buffone a chi eloquia di povertà sostenibile o chi permette ad Amazon e compari di ridurre in schiavitù i cittadini?
Qualche mese fa il magistrato Nicola Gratteri ha detto che “Mario Draghi non ha mai pronunciato la parola mafia”. Affermazione che potrebbe dividere l’opinione pubblica italiana tra chi sostiene che la mafia non esista, e chi invece la vede come il principale freno alla nostra economia. Non volendo entrare nei particolari locali, ovvero le caratteristiche delle organizzazioni criminali italiane, si vorrebbe tanto che la magistratura indagasse e processasse il combinato disposto mafioso internazionale che non permette più agli italiani di lavorare, fare impresa, risparmiare e costruirsi casa. Ovvero il nefando accordo di cartello tra speculazione finanziaria internazionale (Goldman Sachs, BlackRock, Blackstone, Fitch, Standard&Poor’s, Moody’s…) ed i cosiddetti “referenti istituzionali” italiani che s’alternano nell’esecutivo per varare riforme fiscali punitive del lavoro e del patrimonio dei cittadini, col solo ed unico fine d’azionare una sorta di politica usuraia e del pizzo sui contribuenti. Ovvero generare un prezzo di fuga dall’Italia, con conseguente svendita dei patrimoni. Perché è netta la sensazione che l’Italia sia retta da un patto internazionale mafioso. Infatti per mafia s’intende una organizzazione criminale che governa con la violenza un territorio, e gli italiani subiscono quotidianamente le minacce d’una classe dirigente che precarizza il lavoro, che invita a chiudere bottega, che istiga al suicidio chi ridotto in povertà: l’esempio è rappresentato dalle attività artigianali di colpo bollate dopo il governo Monti come “non a norma Ue”, e non dimentichiamo la “rottamazione delle attività tradizionali”, e nemmeno i suicidi degli imprenditori accusati d’evasione fiscale poi risultata non vera. La mafia è caratterizzata dall’omertà, e certamente l’atteggiamento della classe dirigente statale (inclusi alcuni magistrati del civile, fallimentare ed amministrativo) si dimostra omertosa e complice del progetto di disarticolazione del sistema economico italiano, con evidenti atti indirizzati a liquidare piccole e medie imprese e patrimonio immobiliare delle famiglie.
Nelle mafie ci sono i riti d’iniziazione? E come dovremmo chiamare pranzi e “cene d’affari” romane dove alta dirigenza di stato, magistrati e banchieri s’incontrano per intendersi su come trarre beneficio dai provvedimenti del governo o come ridurre sul lastrico persone fisiche ed aziende? Non ultimi i miti fondativi mafiosi delle mafie silenti in colletto bianco: che sono i vertici bancari europei e statunitensi, ritenuti degni di governare il mondo. Di fatto questa mafia istituzionale è subentrata alla politica, ai partiti, ai sindacati, ai cosiddetti corpi intermedi. Un salotto di potere sordo alle istanze democratiche, che pretende una tangente dai cittadini dando in cambio insicurezze, infondendo paura del potere ed auspicando “povertà sostenibile” per quel parco buoi che sotto elezioni i giornali appellano come “elettorato”.
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