I millennials, la generazione perduta – la fuga degli Dèi

 

I millennials, la generazione perduta – la fuga degli Dèi

Viviamo nel tempo del materialismo e dell’assoluto relativismo, un tempo dominato dalla tecnica, nel quale tutto è immanente, attuale ed attualizzato, presente “hic et nunc”, dove non sembra più esserci posto per il divino. La fuga degli Dèi, metafora “heideggeriana” per definire lo scollamento tra l’uomo e la sua componente spirituale, è un’altra cifra del nostro tempo, che indubbiamente lo caratterizza, e lo rende ancora più cupo, poiché descrive la condizione drammatica dell’uomo, privato di una delle sue necessità principali, la spiritualità.

Può esserci spazio per la spiritualità in un’epoca ricca di idoli? La post-modernità ha già il suo credo, ben codificato e diffuso tra le masse, ha i suoi templi, i suoi sacerdoti e persino le sue “religiose” festività; il mercato è il nuovo Dio, nel quale dobbiamo avere fede, dicono i sacerdoti del liberismo, altrimenti l’ira di questa divinità immanente calerà su di noi, e punirà coloro che si sono allontanati dalla sua legge. Il consumismo è invece la pratica religiosa per eccellenza dei moderni fedeli, è necessario ripetere le stesse inutili azioni in maniera spasmodica, con il solo fine di compiacere non tanto sé stessi, ma appunto il mercato; azione quella di consumare, svolta nel moderno luogo di culto, il centro commerciale, dove le persone si rendono partecipi di un vero e proprio processo di alienazione, che snatura la loro dimensione antropologica, e li trasforma in consumatori “tout court”.

Fuor di retorica, parlavamo prima di un’epoca, quella attuale, in cui tutto è immanente, ovvero contiene in sé il principio e il fine, esiste in quanto si percepisce, si misura, ancora una volta si quantifica. Ovviamente questa condizione è il risultato di un lungo processo, con il quale si è sostituito Dio con la tecnica, ma la tecnica esiste in una dimensione reale, presente, appunto immanente, non può certo colmare il vuoto che ha lasciato la concezione trascendente della vita e del mondo, che oggi pare non avere più senso di esistere. Già, poiché il mondo liberal-capitalista non può avere aspirazioni altre da sé stesso, vivere e pensare il divino invece, significa immolare la propria esistenza in un codice valoriale altro ed alto, che ha a che fare con il comportarsi e il pensare altrimenti, e quindi con l’elevazione dell’uomo, del popolo, dell’umanità tutta “al di là” dei presupposti meramente materiali, che esistono in quanto tali, che sono principio e fine di sé stessi. Al di là di questo mondo fatto di materia, verso il “mondo delle idee” – come sosteneva Platone.

Ma sconnettere la realtà materiale umana dalla componente trascendentale significa distruggere l’uomo, e ricondurre ancora una volta, alla presunta “naturalezza” del tecno-capitalismo, la storia e il tempo, oscurando qualsiasi orizzonte celeste. In questa dimensione fatalistica, l’uomo sente tuttavia il bisogno di credere, di seguire, di vivere per qualcosa che non sia immanente. Ecco quindi che i giovani in particolare, sfogano, o tentano di farlo, il bisogno naturale di fede e spiritualità, idolatrando entità in realtà prive di trascendenza, come il mercato appunto, oppure rifugiandosi nei sofismi delle religioni orientali, distanti e discontinue dall’antropologia dell’uomo europeo, o abbracciando la fede verso l’ateismo tutto moderno e sterile, oppure radicalizzando le proprie posizioni.

Sintomi questi, che indicano un più generale senso di smarrimento, che ha a che fare con l’assenza di un qualsiasi riferimento spirituale, che indichi la strada da seguire, i buoni valori su cui fondare la vita civile di un popolo, che dia un senso metafisico e trascendente a questo mondo inquinato dall’iper-materialismo.

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