Il 100 per cento delle donne non ha il pene!

 

 

Il 100 per cento delle donne non ha il pene!

Alla buon’ora. Il cento per cento delle donne non ha pene. Lo ha affermato Rishi Sunak, il primo ministro britannico conservatore di origine indiana. La domanda gli è stata posta a proposito di un’asserzione possibilista del suo rivale laburista, per il quale “il 99 per cento delle donne non ha il pene”. Potremmo cavarcela descrivendo il degrado civile e culturale di una ex grande potenza imperiale, i cui dirigenti politici discettano di problemi di questo tipo. Altro che Bisanzio e il sesso degli angeli.

Del resto, nell’umida, nebbiosa Gran Bretagna un’insegnate di scuola “ femminile” ( le virgolette sono d’obbligo, per prudenza e per non offendere le autopercezioni delle adolescenti) è stata licenziata per aver salutato con un inopportuno “ buongiorno , ragazze” le allieve, senza tenere conto di eventuali sentimenti “non binari”; in cui il dizionario Cambridge definisce la donna come un’adulta che si considera tale, indipendentemente dal “sesso biologico rilevato alla nascita”; in cui la religione anglicana di Stato – il monarca regnante ne è il capo- si interroga sull’opportunità di non definire Dio come padre, aggettivo sessista e dunque discriminatorio; in cui un dibattito sull’aborto all’Università di Oxford è stato interrotto per la presenza di relatori maschi.

Potremmo osservare che nel Regno Unito la sostituzione etnica è così avanzata che il primo ministro è indiano e il leader separatista scozzese pakistano, come il sindaco di Londra. Meraviglie del multiculturalismo e boomerang del colonialismo. La questione è ben più seria. Sarebbe facile rivelare nuove sensazionali scoperte: tutti i viventi sono destinati alla morte, i tifosi del Torino detestano la Juventus, i bambini sono partoriti da donne chiamate madri. Purtroppo in Occidente avanza la guerra cognitiva contro la verità e la realtà, e non ha più senso, per le menti adulterate dal veleno neoprogressista, ripetere il motto latino “contra factum non valet argumentum”. Chi abolisce la realtà ha un piano e un progetto, indifferente ai fatti; quanto alla verità, basta cambiare le parole, capovolgere i significati ed ecco che il bianco va chiamato nero. Sgomenta che l’operazione riesca.

Applausi quindi a Sunak- più indiano che inglese- per aver ripetuto un’ovvietà. A questo siamo; il primo ministro deve ribadire: “il sesso biologico è fondamentale”. La parola natura è vietata anche in casa Tory, liberal-liberisti conservatori solo di nome.  Il suo avversario politico, Sir Keir Starmer, progressista pensoso, riflessivo e à la page, aveva invece asserito che il novantanove per cento delle donne tali sono “in forma biologica. Perciò, evidentemente, non hanno pene”. Il povero baronetto rosé si deve barcamenare tra le tendenze woke e LGBT+ di parte del suo elettorato e la logica.

Nulla di nuovo, peraltro, in ambito anglosassone. Fu Bertrand Russell, quasi un secolo fa, a dichiarare con entusiasmo che le acquisizioni delle scienze psicologiche applicate alle masse avrebbero permesso di far credere che la neve è nera.  Pochi anni dopo, un altro esponente dell’aristocrazia di Sua Maestà, Aldous Huxley, nel celebre “Mondo Nuovo” preconizzava un futuro dominato da un’oligarchia padrona della tecnologia attraverso l’ingegneria genetica, in cui i cittadini – divisi in caste- non hanno alcuna nozione della storia, salvo sapere che nel passato l’umanità era nella barbarie e che quello in cui vivono è il migliore dei mondi possibili. Sanno che nel tempo precedente gli umani si riproducevano in maniera “naturale” e che esistevano genitori, ma questi concetti sono tabù, e le parole madre e padre sono insulti. Le caste inferiori, prodotte per clonazione, mostrano una forte mentalità gregaria, ma anche gli individui delle caste superiori, prodotti da un embrione da cui si ottiene un solo individuo adulto, sono condizionati ad accettare il sistema senza discutere. È normale avere una vita sessuale totalmente promiscua fin da bambini, allontanare i pensieri negativi con una droga euforizzante di massa, il soma, ed essere consumatori compulsivi. È vietato passare del tempo in solitudine, essere monogami, rifiutarsi di prendere il soma ed esprimere opinioni critiche. Una profezia assai precisa della correttezza politica, della cultura della cancellazione, dell’ipersessualizzazione- anche infantile- e della normalizzazione delle dipendenze.

Negli stessi anni insorse la nobile figura di Gilbert K. Chesterton, che con il finissimo intuito dell’artista scrisse che un giorno si sarebbe dovuta brandire la spada per affermare che l’erba è verde in primavera. Quel momento è arrivato, ed è la madre di tutte le battaglie. Nel merito, dobbiamo prendere atto del successo dell’inversione e mantenere il coraggio della verità. In tempi di menzogna universale dire la verità è un atto rivoluzionario.

Sappiamo da sempre che l’umanità – come il resto dei mammiferi- è composta da maschi e femmine. È la legge della natura, non della biologia, che è solo la scienza che studia la vita, ossia i processi fisici e chimici che caratterizzano i sistemi viventi. La fase della scoperta della differenza tra i sessi (sessi, non generi, termine rubato alla grammatica…) è un’esperienza decisiva per ogni bambino. A differenza della folle pretesa “trans”, ciascuno- tranne pochissimi casi da affrontare con la cura e la comprensione dovuta alle dolorose eccezioni – è situato da una parte o dall’altra. Non può scegliere la sua condizione o incarnare il tutto dell’umanità, l’aspirazione androgina della transessualità. La differenza sessuale smentisce i fantasmi di onnipotenza dell’Homo Deus artificiale promosso dalle oligarchie per precisi scopi di dominio.

L’idea diffusa dalle centrali di potere occidentali, secondo cui essere uomo o donna dipende da una scelta individuale – per di più revocabile- è un sinistro modo per rifiutare l’autorità del reale. La sostituzione più drammatica, nella fase terminale della nostra civilizzazione, è quella culturale e valoriale, a cui, paradossalmente, la sostituzione etnica potrebbe essere un freno. Nel momento in cui si nega la realtà, ossia si impone alla gente di non credere più ai propri occhi e convincersi che la neve è nera, prestando fede alla “narrativa” che proviene dall’alto, si cambia lo statuto antropologico dell’umanità.

Sorge un doppio problema: innanzitutto far capire che ciò che accade non è frutto di un inesistente spirito dei tempi o di un progresso deterministico a cui non ha senso opporsi e su cui è vano porsi domande. L’altra questione – enorme- è individuare prima, diffondere poi, le motivazioni profonde di ciò che accade, su cui animare infine una resistenza. Ossia, scoprire perché crediamo che la neve sia nera, i “generi” siano decine e il progetto della natura/biologia sia negativo e comunque subordinato alla volontà di potenza di una creatura- l’homo sapiens – che rigetta tale statuto e si considera creatore di se stesso.

La nostra tesi è che il potere globalista, internazionalista e mercatista, i cui vertici sono i giganti dell’economia, della finanza e della tecnologia, uniti in un’alleanza che schiaccia il resto dell’umanità riducendola a oggetto, intende eliminare i caratteri identitari,  spirituali, comunitari, individuali e sessuali per realizzare un meticciato- etnico ma  innanzitutto antropologico e culturale-  destinato a uniformare l’umanità in un indistinto calderone il cui traguardo è il transumanesimo, ossia l’ibridazione dell’uomo con la macchina. Un osservatore dallo pseudonimo proustiano- Boni Castellane – parla di nuovi diritti, nuovi sessi, nuovi consumi tesi a realizzare un mondo unico pacificato nel mercato, ovvero nel potere di chi lo controlla e, possedendo tutti i mezzi, determina tutti i fini.

È il modello cui si ispira la cultura della cancellazione, la quale, nel momento in cui oblitera e resetta l’uomo “vecchio”, configura una nuova umanità sin nelle pulsioni più intime.  

In linea con le teorie radicali sulle colpe storiche dell’uomo bianco – l’”intersezionalità” dell’attivista nera femminista Kimberle Crenshaw- alimenta sensi di colpa di massa (il trionfo della “coscienza infelice” di Hegel e Marx) che determinano lo sconvolgente odio di sé che sperimentiamo.  L’esito è l’induzione alla denatalità, il favore verso politiche di immigrazione di massa e l’istituzione di privilegi a compensazione del passato per le vittime storiche dell’orribile uomo bianco eterosessuale.

Decostruire l’identità in nome della volontà, del desiderio e del capriccio, revoca in dubbio ogni certezza, travolgendo la relazione con la natura nel rifiuto del principio di realtà. Diventa logica la conclusione estrema: possono esistere donne con il pene e uomini senza, se quella è la volontà sovrana che li anima. Si sviluppa una zona grigia di transizione, la scelta indotta della transessualità, mascherata da disforia di genere, da affrontare con soluzioni farmacologiche e chirurgiche che recidono parti del corpo o producono organi che la natura ha riservato all’altro sesso. Ma la natura sbaglia, è imperfetta e va tras-formata, superata dalla volontà alleata della tecnica, all’ombra di una nuova moralità imposta, invertita, ma sempre una morale: le condotte considerate buone e giuste dalle classi dominanti.

In un successivo intervento approfondiremo il concetto di “capitalismo moralista” introdotto dallo spagnolo Miguel Angel Quintana Paz. All’interno di quel grumo di “valori” (valori: ciò che vale e che conta) ha senso perfino la domanda che nessuna generazione o civiltà avrebbe posto, ossia se le donne hanno il pene, giacché solo la decisione individuale conferisce verità. Non vi sarebbe possibilità alcuna di successo per un tale sistema di pensiero se esso non fosse l’ideologia dei dominanti, la “narrativa” ufficiale dell’Occidente terminale. Altrettanto, non potrebbe essere creduta se, oltre alla coazione a ripetere indotta dal sistema di cultura, intrattenimento e spettacolo, non fosse stata preceduta da accurati studi di psicologia delle masse.

In particolare dal conformismo indotto e dal “pensiero di gruppo”, (groupthink) teoria elaborata negli anni Settanta da Irving Janis. Egli descrisse un modello assai vicino alla realtà di questi anni: un gruppo umano condivide – o gli viene fatto condividere- un pensiero privo di evidenze verificabili, non provato, in cui si tende a raggiungere il consenso senza analisi critica. Il consenso di gruppo si fonda su opinioni “morali”, cioè buone e giuste. Chi vi aderisce è convinto di trovarsi tra persone eticamente e intellettualmente superiori. La fase successiva è convertire gli altri, attraverso la ripetizione ossessiva dei concetti e una crescente intolleranza alla discussione e alla stessa esistenza fisica del dissidente, a cui il gruppo reagisce con disprezzo, ostilità, denigrazione. Il senso di superiorità morale fa sì che il dissenso non possa essere tollerato. Il paradigma domina in Occidente, coinvolgendo un ampio ceto di servizio, accademico, scientifico, economico, politico, il cui successo e prestigio dipende dall’adesione al pensiero di gruppo. Di qui il conformismo, la tendenza all’autoritarismo di chi spazza via ogni obiezione. Non è neppure un pensiero magico, piuttosto un non-pensiero fanatico, chiuso, imbevuto di ignoranza del passato, dogmatismo e rifiuto dell’evidenza.

Il museo delle donne danese è diventato “museo del genere”, simboleggiato dalla statua di un uomo barbuto (è in vista l’attributo virile) con seno femminile da cui allatta un bimbo. Delle due l’una: o riconosciamo il degrado in cui è precipitato l’Occidente o siamo malati terminali del pensiero invertito, stadio ultimo di una civilizzazione incurabile in cui la realtà è capovolta o negata, nella quale le donne possono avere il pene, gli uomini allattano e non ci sono altro che genitori numerati, o, come recita la legge spagnola, “gestanti” e “non gestanti”. È la febbre dell’agonia. Di qualcosa si deve pur morire: le civiltà, in genere, muoiono suicide.     

 

 

 

Immagine: https://www.cittanuova.it/

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