Il calcio: possiamo chiamarlo ancora sport?
Lo chiamano ancora sport, anche se ormai di sport al calcio è rimasto davvero poco. Il pallone è un business e non è un caso che tutti i suoi protagonisti puntino, prima ancora che ai successi sul campo, a fare quattrini. Così, nelle ultime settimane abbiamo assistito a scene pietose, che hanno portato al fallimento, facilmente prevedibile, dell’elezione del presidente federale e al commissariamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio e della Lega di serie A.
Il risultato finale, dunque, ha decretato la vittoria sua tutta la linea del presidente del Coni, Giovanni Malagò, che voleva esattamente questo: diventare il vero padrone del business calcio. Come commissario Figc ha scelto un suo uomo, tal Fabbricini, mentre come commissario della Lega Calcio ha scelto se stesso: adesso tocca a lui dare il via alla nuova partita.
A noi interessa poco chi ha vinto oggi e chi vincerà in futuro, ma non possiamo non registrare che questi personaggi – tutti, nessuno escluso – hanno ridotto il calcio italiano in uno stato comatoso. La guerra tra i potenti del calcio – il vecchio presidente Tavecchio, il patron della Lazio, Lotito, e i loro seguaci – e il Coni di Malagò ha lasciato sul campo morti e feriti e, tra questi, purtroppo, c’è il calcio stesso.
Cosa dobbiamo aspettarci ora? Difficile dirlo, ma lo scenario che abbiamo davanti è avvilente. Il nostro settore giovanile, una volta grande punto di forza, è ridotto ai minimi termini, ma non potrebbe essere altrimenti, dopo decenni in cui le società e i procuratori dei calciatori hanno pensato soltanto a lucrare (spesso in nero) sui trasferimenti e sugli acquisti dei calciatori. La nostra nazionale, visto del depauperamento del settore giovanile, è in caduta libera ed è addirittura stata eliminata dai prossimi mondiali.
Insomma, siamo ai minimi termini e nessuno sembra essersene accorto. La cosa che interessa davvero a tutti sono i soldi e, per la prossima stagione, arriveranno tanti soldi in più, grazie alla televisione. Così, le società incasseranno di più, i calciatori e i loro procuratori, insieme agli allenatori, potranno pretendere stipendi più alti (e già parliamo, in serie A, di guadagni milionari) e gli spettatori negli stadi saranno sempre di meno, sia per l’offerta tv sempre maggiore, sia per il costo assurdo dei biglietti.
In definitiva, Malagò e la sua banda dovrebbero rifondare il calcio, ma non lo faranno. Si accontenteranno di gestire, attraverso il commissariamento, il miliardo di euro che arriverà per i diritti tv e accontenteranno, come sempre, gli amici e gli amici degli amici. Con buona pace degli amanti del calcio inteso come sport vero, quello che non esiste più da decenni.