Il patto tra immigrazionisti ed animalisti

 

Il patto tra immigrazionisti ed animalisti

C’è un accordo tra immigrazionisti ed animalisti ma nessuno lo vuole vedere né denunciare, temendo di finire bollato come ignorante o retrivo. Qualora il singolo s’azzardasse a narrarlo sui vari “social”, la condanna sarebbe immediata, la “damnatio memoriae” su Facebook e compari. Eppure l’accordo c’è ed è stato stretto a Davos: all’ombra del Word Economic Forum chi vorrebbe incrementare gli sbarchi di migranti ha trovato un solido alleato in coloro che immaginano città con edifici cibernetici blindati e circondati da una selvaggia foresta dove possa tornare la tigre dai denti a sciabola: in una caverna della Francia centrale c’è un graffito di 10mila anni prima di Cristo, raffigura la sconfitta della tigre da parte di una comunità umana, a parere di tanti sarebbe così iniziato il dominio dell’uomo.

Ma senza aver mai conosciuto né compreso il pensiero di Arthur Conan Doyle, gli animalisti si sono appropriati del progetto d’un “Mondo perduto” dove possano sopravvivere tutte le creature scampate all’estinzione e, finalmente per umana legge universale, condizionare la vita degli uomini, al punto da ridurli ostaggio di palazzi e condomini blindati da telecamere. Queste ultime capaci di catturare ogni gesto difensivo dell’uomo, casomai gestite in un prossimo futuro da un sistema che considererebbe emendabile e logico che il cittadino europeo venga aggredito da selvaggi e misteriose belve della foresta: in quest’ordine naturale delle cose, l’uomo del vecchio mondo civilizzato espierebbe in sempiterna vita virtualizzata l’essere stato apicale nella catena alimentare e nella conquista planetaria.

Ridurre i civilizzati a persone recluse in casa davanti ai computer, con la sola possibilità d’ordinare cibo via internet e di lavorare in un non ben chiaro sistema di “smart working” ed usufruendo solo di vacanze virtuali (tramite occhiali e tattile collegati ad un programma), non è fantascienza ma fa parte del programma di deantropizzazione. Non dimentichiamo che, a Davos da un quarto di secolo irradiano globalmente l’idea che il primo fattore d’inquinamento planetario sarebbe il lavoro umano, quel fattore antropico che andrebbe fermato con leggi planetarie sotto egida Onu. Oggi gli unici che pagano le conseguenze di queste visioni sono gli europei, che quotidianamente assistono al minuetto degli sbarchi dei migranti (ora spostati nei porti del Nord Italia) e degli ambientalisti che a Bruxelless quotidianamente mettono bandierine, non ultima quella che impedisce l’abbattimento di ratti e topi, invitando a dissuasione e convivenza con gli animali selvatici. L’Europa ovviamente ha messo nel mirino nazioni come l’Italia e l’Ungheria, reputate ancora una volta poco pronte all’accoglienza, ed oggi anche ree d’aver promulgato leggi che favorirebbero l’abbattimento degli animali selvatici che invadono i perimetri urbani. E per questi ultimi pare valga la stessa impunità paventata da una deputata italiana che, in merito ad atti di violenza e cannibalismo consumati nelle Marche, ebbe a dire “è gente che viene da lontano, che non può essere condannata poiché non conosce le nostre leggi”.

Stessa considerazione fanno oggi gli animalisti per gli attacchi che i lupi stanno operando su greggi ed animali da cortile, minacciando anche l’incolumità di pastori e contadini; simili parole udiamo in difesa dei cinghiali che distruggono gli orti urbani e minacciano di caricare chiunque tenti di scacciarli. Non dimentichiamo che, qualora un comune cittadino venga sorpreso a mettere trappole per topi, potrebbe facilmente ritrovarsi alla porta di casa una pattuglia di polizie locali o di Carabinieri Forestali mobilitati su denuncia della vicina zitella ambientalista. Queste ultime di danni ne hanno già fatti parecchi, non dimentichiamo che l’estinzione del “gattaccione romano” (unico parente urbano del “gatto selvatico”) la si deve totalmente addebitare alle “gattare” che li hanno sterilizzati ed inseriti nelle colonie feline: il “gattaccione” era l’unico antidoto al ratto, invece gli ambientalisti hanno applaudito all’introduzione di gabbiani reali (benedetti da Folco Quilici), corvi e cornacchie; veri e propri rapaci che ormai funestano più dei topi la vita urbana di Roma. Gli uccelli di grandi dimensioni, che si cibano di carogne in ambito urbano, portano più patogeni dei ratti: grazie allo spargimento di guano, nei pressi di mercati e parchi, contagiano orti, cibi e bambini.

Ora gli ambientalisti stanno scaraventando le ire dell’Unione europea contro il provvedimento italiano che prevede l’abbattimento di animali selvatici in aree urbane. Occorre non cedere alla tentazione: qualora un cittadino investa un cinghiale o uccida un ratto o scacci un lupo a botte di mazza, non verrebbe certo tutelato dalla legge del governo in carica; in caso di segnalazione agli organi di polizia partirebbe comunque la segnalazione al magistrato di turno che, con molta probabilità e per evitare ire ambientaliste, si vedrebbe costretto a rinviare a giudizio il cittadino per maltrattamento e soppressione di animale. Evitiamo di tornare sulla violenza che i migranti fanno sulle donne italiane: circa tre casi al giorno, e le indagini brancolano nel buio alla ricerca dell’uomo nero. E’ un pactum scleleris contro i padri, rei d’aver edificato città, costruito fabbriche e auto, strade e musei…l’ultima generazione imbratta le tele e chiede che l’uomo entri in una gabbia per salvare la natura.

 

Immagine: https://www.dagospia.com/

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