Quando verrà il momento per Berlusconi non andrò ai suoi funerali, non annegherò nelle lacrime.. Non piangerà – sempre che non lo abbia preceduto – il suo compagno di banco al Liceo, divenuto docente di Greco, che delle telecamere indiscrete andarono a scovare in un modesto appartamento dell’hinterland milanese. Molti libri accatastati tra i piatti sporchi di sugo. L’epitome di tutte le disgrazie riservate agli insegnanti italiani. Nessuna placida dissolvenza, ma il passaggio brusco tra due scenari contrapposti, la realtà del dispensatore di cultura mortificato dalle lesine dello Stato e quella di Arcore, illustrata dalla greve magnificenza del bunga bunga.
Berlusconi non si é solo limitato a disprezzare il ceto medio. Lo ha distrutto, facendo coppia con un altro magliaro della politica italiana: quel Fini che inneggiava, sussultando come un tarantolato, alle partite IVA. Uno strappo – ad essere proprio pignoli – non meno impegnativo di quello fatto durante una visita in Israele col bollare il fascismo – hoibo’, haimé, madai! – come il ‘male assoluto’.
Esistono diverse tecniche di misurazione di un’entità sociale, che sia passabilmente omogenea, come quelle che si focalizzano sui suoi archetipi culturali e sulla sua collocazione prevalente nel mondo del lavoro. L’italiano medio era uno stipendiato. Posto fisso. La macchina comprata a rate, la casa col mutuo. Il presente era una piccola cuccia dalla quale però s’intravedeva un futuro sicuro, sullo sfondo delle scie tracciate dal big bang industriale, l’età dell’oro sotto l’egida dello Stato. Ma il Mercato – lo avrebbe imparato a proprie spese gente del calibro di Mattei, di Moro, di Craxi – é come il Cavaliere Nero: non gli devi rompere il ca.
Il partito di plastica, messo su in tutta fretta da Berlusconi, molto presumibilmente con l’avallo dei Servizi e col beneplacito dei potentati stranieri che si stavano già spendendo per il NWO, fece subito premio sul consenso della componente liquida ed instabile del ceto medio (quello che si era impratichito nella compilazione ‘creativa’ del modello F24), ed intercetto’ la domanda che gli veniva fatta, di una sottocultura da ‘Grand Hotel’, farcita di nani e di ballerine , non da parte della classe borghese abbonata al fisso ( il posto e il reddito) ma da un’altra specificazione sociale, ugualmente liquida ed instabile, che un giorno coincideva col lumpenproletariat, un trapezio al quale si sono aggrappate diverse generazioni di italiani per essere catapultate verso la peggiore delle recessioni, che non é quella economica, ma quella dell’intelligenza, della dignità e del buon gusto.
Due opzioni catastrofiche. L’italiano medio, quello che si ammazzava di straordinari per consentire al proprio figlio di prendersi un pezzo di carta fu soppiantato da un altro italiano che avrebbe pagato chissà che cosa per vedergli fare il rapper sul palcoscenico di Ics Factor.
Una mutazione profonda. Molto di più del cambio del cavallo al carretto della politica. Quasi peggio di un esperimento con le siringhe sugli internati di Auschwitz.
Da lì, da quest’uomo, anch’esso di plastica, che faceva politica estera sghignazzando sul culo della Merkel e sollevando l’indice e il mignolo bene in vista, sui notabili di Bruxelles, in occasione delle foto di gruppo, si é formata un’altra Italia che può fare tranquillamente a meno dell’intelligenza, della dignità e del buon gusto, anche se ci si chiama Di Maio o Taverna o – la sparo grossa – se si porta il nome di Casalino.
Il capostipite, quegli da cui tutto ebbe inizio. Non lo si direbbe, con quella faccia che sembra scavata nel cuoio e con quell’espressione che denota la diabolica consapevolezza di aver fatto qualcosa di male ma di averla fatta bene.
All’indomani del crollo della Prima Repubblica l’italiano numero zero, il prototipo, fu lasciato in balia delle Sinistre per essere rottamato. Ad ognuno il suo. La puntualità degli incroci nella catena di montaggio. Niente é lasciato al caso. C’era un asse che traspariva da come la campagna per la mobilità lanciata da D’Alema, le crociate a favore dell’iniziativa privata intraprese da Forza Italia e le serenate di Fini sotto il balcone delle partite IVA s’incastravano perfettamente l’una dentro l’altra. Lo si ricavava anche dal modo in cui Qui, Quo e Qua recitavano la propria parte usando lo stesso copione: nel fare dell’antifascismo in assenza di fascismo e, viceversa, nel fare dell’anticomunismo in assenza dei comunisti, che non c’erano più da un pezzo perché si erano estinti nell’89 con la svolta della Bolognina, e si erano tutti trasformati in servi inappuntabili del padrone, una strana forma di metempsicosi, con uno sconto per comitive.
I documenti che affiorerano tra qualche anno daranno conferma del complotto del quale fu solerte esecutore un piccolo Fouché di montagna ma chiariranno, a scanso di ogni residua incertezza, che l’obiettivo immediato perseguito dai suoi mandanti era quello di tagliare la strada ad un eventuale rigurgito della Destra sociale, a soluzioni politiche che non fossero state contemplate dai progettisti del Nuovo Ordine Mondiale, del Nuovo Ordine Europeo e del Nuovo Ordine Italiano, la matrioska perfetta.
Quando, dunque, Berlusconi si sarà congedato da tutti noi, non sarà un problema trovare per lui la collocazione giusta nel database della Storia. A Mediaset, un pool di grandi cervelli, gli hanno sicuramente già detto che il titolo di Migliore é stato assegnato, indebitamente a Togliatti. Lui, così pieno di sé, così smanioso di distinguersi ad ogni costo, così narciso, sarà ben felice di esere ricordato come il Peggiore: di una graduatoria rovesciata, in cui figura per primo.