Di Roberto Pecchioli
Nel mio quartiere si gusterà una “pastasciutta antifascista”. Immagino per via del sugo in cui dominerà il rosso vivo della salsa di pomodoro. Le cuoche e i cuochi (bisogna essere inclusivi, trattandosi di compagni) delizieranno il palato confermando la vocazione laica, democratica e antifascista ( ai miei tempi si diceva così). Una buona serata e una piacevole degustazione: sempre allegri bisogna stare. Allegria che diventa giubilo dinanzi alla lodevole iniziativa di due deputati democratici, che propongono di cambiare il nome del parlamento: Camera delle Deputate e dei Deputati, in ossequio alla beata inclusione. Se fossi trans, queer, bi o un altra delle lettere dell’alfabeto gender, sarei offeso: discriminazione a danno degli infiniti generi del paradiso sessuale. Camera de * Deputat* è più inclusivo, con l’asterisco scolpito nel marmo.
Quando i pazzi guidano i ciechi, come Gloucester con Re Lear, non ci si può stupire di nulla. Peraltro, il vecchio Shakespeare va corretto : “i diversamente sani di mente guidano i non vedenti”. Vuoi mettere? Allegria di naufragi: “e subito riprende
il viaggio, come dopo il naufragio un superstite lupo di mare.” La segretaria del PD Ethel Elena Schlein detta Elly, dall’alto delle tre cittadinanze che le conferiscono respiro internazionale, ha individuato la priorità per la nostra fortunata nazione ( pardon, paese): serve immediatamente una legge contro l’omo trans bi fobia. Sollievo da Cuneo a Siracusa: finalmente la soluzione ai nostri problemi. Speriamo che si sbrighino: voglio vedere come va a finire e farmi quattro risate, amare ma sincere.
La brava Elly è reduce dalla vacanza gay-friendly e sa di che parla, tra un’offesa alla Madonna e un cartello su Gesù protagonista di orge omo. Divertente che alcuni giornalisti maschi siano stati palpeggiati dai suoi orgogliosi elettori arcobaleno. Di che si lagnano? Chi va per certi mari trova certi pesci. Chissà che ne direbbe Luigi, un operaio comunista amico di famiglia, che conduceva battaglie per il salario e la dignità del lavoro. Un tempo erano lotte in salita, invise al potere, pericolose. Oggi i suoi eredi ( ma li riconoscerebbe tali?) cantano e ballano in manifestazioni grottesche, alimentando rivendicazioni individualistiche gradite al capitalismo ( più forte di allora) contro cui si batteva.
Poiché l’attivismo in nome del progresso non conosce stagioni, alcun* parlamentar* dell’Alleanza Verdi Sinistra hanno inventato una nuova fattispecie di reato, l’ecocidio. Se approvato, “ renderebbe giuridicamente e moralmente inaccettabile un eventuale grave danno alla natura e riuscirebbe ad allontanare i finanziamenti delle pratiche che distruggono in modo significativo gli ecosistemi “. I colpevoli rischieranno vent’anni di galera. Che immeritata fortuna essere membri di una così elevata civiltà. Nel mondo in cui i diversamente sani di mente conducono i non vedenti, grandi cose possono accadere.
Non siamo gli unici a godere di questa buona sorte. A Madrid al gay pride si poteva leggere questo fantastico avviso all’ingresso di uno stand: “ il blocco razzializzato e quello del collettivo queering all (nessuno mi chieda che cosa significa: non sono all’altezza N.d.A.) sono blocchi non misti, cioè non è permessa l’entrata a persone Cishet- stavolta lo so: cisgender o etero, cioè normali N.d.A.- né a persone bianche. “ Tombola: razzismo etnico più discriminazione per orientamento sessuale ! Ma no, una birichinata. Razzisti, discriminatori sono “gli altri”. Meno male che “ non si permetteranno commenti razzisti”. Sprezzo del ridicolo dei diversamente sani, parzialmente salvato dalla saggia neutralità su un altro tema: “non saranno ammessi messaggi antisemiti né messaggi sionisti”. Una buona notizia.
In Francia fanno di meglio. Le elezioni legislative hanno visto il successo di un partito considerato di estrema destra nonostante un programma sociale di sinistra. Un elettore su tre lo ha votato e al secondo turno la percentuale crescerà. Nelle trasmissioni televisive francesi si assiste a continue sedute psicanalitiche in cui i cugini transalpini ripetono come dischi rotti due concetti: il primo è che Marine Le Pen “ non può governare”. Libertè, egalité, ma solo per alcuni: democrazia in quanto comandano loro e a nessuno venga in mente di cambiare. L’altro è che – comunque e dovunque- occorre “fare barriera” ( faire barrage, nella lingua di Voltaire) contro il demonio, che ha le fattezze della bionda Marine e di un giovanottello dall’aria allegra, Jordan Bardella. Non ho ascoltato un solo argomento contro il loro programma: solo demonizzazione.
Ogni ora si aggiungono nuovi appelli ansiosi, carichi di apprensione: università, sindacati, calciatori, sindacati, massoni, tutti contro uno. La manovra riuscirà: il grido è troppo potente ed emotivo per non essere raccolto da un paese a pezzi. Diverte che fieri comunisti e anticapitalisti, il Nuovo Fronte Popolare, accettino un’altra volta di votare per il figlio del capitalismo finanziario, l’odiatissimo ( anche da loro) Macron. Comica – se non fosse per la questione dei pazzi e dei ciechi- la situazione di un collegio in cui è candidata l’autrice della contestata riforma delle pensioni, fedelissima del presidente. Immediato il ritiro del suo “avversario” di sinistra, terzo arrivato con diritto di partecipare al secondo turno. Voteranno per lei migliaia di Tafazzi, nonostante la Le Pen voglia smantellare quella riforma.
Se non fosse per il declino di una grande nazione, ci sarebbe da ridere di gusto per l’ autolesionismo di massa. E per un curioso fenomeno: un elettorato che vuole il cambiamento a enorme maggioranza correrà alle urne per stabilizzare il potere. Ricorda il marito che per fare dispetto alla moglie si tagliò una certa parte del corpo. Il maggiore partito di sinistra si chiama La Francia ribelle ( La France insoumise) ma voterà liberale. Un nome orwelliano, capovolto: la Francia mansueta che accorre docile al fischio del padrone. La previsione è semplice: l’alternativa avanzerà ma non vincerà. L’impasse ( i francesi ci tengono alla lingua) sarà completo e Macron avrà vinto. Evviva i ribelli con il permesso della prefettura. Se fossi il giovane Bardella pregherei di non vincere. Lo metterebbero in croce in nome della democrazia e della fraternité. Lasci che i morti seppelliscano i morti e che i Tafazzi rossi, fucsia, arcobaleno salvino un’altra volta la Francia del potere. Torneranno nelle invivibili banlieues e tutto continuerà come prima, peggio di prima. Inevitabilmente, arriverà il suo turno.
Se la situazione francese è grottesca, quella americana lo è di più. Si discute se un anziano signore il cui destino è la panchina dei giardini pubblici con vista sui lavori stradali sia in grado di guidare lo Stato più potente del mondo. Certo che lo è: è sufficiente che Joe Biden, tra un pisolino e l’altro, esegua gli ordini del deep State, dell’oligarchia finanziaria, tecnologica, militare e industriale. La finzione democratica deve continuare. Intanto il dipartimento degli Interni dirama le linee guida del linguaggio inclusivo: vietato nominare padri, madri, figli. Gli americani finiranno per grugnire, o indicare i concetti a segni. Gli indiani – pardon nativi americani- torneranno ai segnali di fumo. Meglio la neolingua spagnola, in cui il padre è “genitore non gestante”. Chissà se i figli chiameranno così i loro papà: non c’è da stupirsi, nel mondo dei pazzi che guidano i ciechi con cervello in modalità stand-by.
In Occidente, nessun dorma, come nella romanza di Turandot che Google Chrome definisce “canzone di Giacomo Puccini” ( cliccare per credere). Tramontate stelle, perché in Inghilterra la cultura della cancellazione ha segnato un altro autogol. Il neocolonialismo invertito mette fine alla missione educativa e storica dei musei. E’ scoppiata la polemica su un reperto del Pitt Rivers Museum di Oxford, una maschera della comunità Igbo in Nigeria che veniva utilizzata per rituali esclusivamente maschili. Il museo ha deciso di non esporla per evitare imbarazzo nelle visitatrici donne. Sono le nuove politiche di “sicurezza culturale” su cerimonie, resti umani e ruoli di genere. Ossia, in modo anacronistico e anticulturale, impongono ai visitatori le situazioni originali per cui fu realizzata la maschera ! L’inclusione che esclude.
Il caso si affianca a altri esempi in cui i musei sono intrappolati nella logica perversa della “decolonizzazione” che porta a rimuovere pezzi, reperti, opere d’arte per timore di disturbare qualche gruppo etnico offeso. La narrativa “decolonizzante” è uno strumento del sistema woke che impone lo sviluppo di meccanismi di superiorità morale misti a volubile condiscendenza, frivolezza culturale, disprezzo del passato. Alla fine, ignoranza in nome del tribunale senza appello del presente. Sulla stessa linea un altro museo britannico: gli oggetti considerati inappropriati per le donne in certe culture “non saranno esposti in alcun modo che possa turbare o offendere”. L’Argentina ha restituito alla Nuova Zelanda la testa mummificata di un guerriero Maori esposta per quasi cento anni nel Museo Etnografico di Buenos Aires.
L’Oriel College dell’Università di Oxford ha rimosso un’opera del XVIII secolo perché raffigurava un servitore nero, e la Wellcome Collection ha chiuso la sua tradizionale mostra Medicine Man, che riunisce più di un milione di antichi oggetti legati alla salute e alla medicina perché “razzista, sessista e abilista”. L’ abilismo è uno dei peccati capitali del mondo nuovo. Ho scritto un libro sul linguaggio (La guerra delle parole, Nexus Edizioni) ma preferisco, per non incorrere in delitti contro la correttezza politica, fornirne la definizione tratta da Wikipedia, Bibbia dell’Occidente assopito. “L’abilismo è lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo e una mente abile[. In una prospettiva abilista, la disabilità è vista come un difetto invece che un aspetto della varietà umana, mentre il corpo-mente non disabile è considerato la norma, quindi ciò che vi si discosta è visto come inferiore, negativo ed ha meno valore. L’abilismo è un’oppressione sistemica, cioè è una visione del mondo che si manifesta a tutti i livelli della società, così come il razzismo, il sessismo, l’omobitransfobia eccetera. Essa viene perpetrata verso ogni tipo di disabilità (fisica, sensoriale, intellettiva eccetera). “ Forse è in spregio all’abilismo che i pazzi conducono i ciechi.
Il disprezzo di sé non fa più notizia, ma l’ imperialismo culturale a rovescio prosegue. Un documento governativo canadese afferma che i musei sono “istituzioni coloniali” che devono concentrarsi su questioni come “diversità e inclusione” per educare il pubblico e rendere conto di “importanti cambiamenti sociali come la riconciliazione con le popolazioni indigene, il trattamento di questioni di equità. Collezionare ed esporre oggetti raccolti in tutto il mondo è una forma di colonialismo”. Il rapporto si chiede inoltre: “Come possono le istituzioni del patrimonio sostenere meglio lo sviluppo sostenibile e affrontare il cambiamento climatico?” Ai posteri l’ardua sentenza, o agli psicanalisti, unici a poter spiegare l’associazione di idee.
Irresistibile, per chi sa ridere delle follie dell’occidente terminale, un’intervista sul “discorso di odio”, lo psicoreato di moda, di George Clooney. L’ex di Elisabettta Canalis si è esibito in una violentissima intemerata contro politici accusati di odio, usando un linguaggio di odio. Meglio il pazzariello della Napoli di ieri: un simpatico artista di strada, un innocuo imbonitore vestito in modo estroso, spesso in alta uniforme, accompagnato da un’orchestrina. Si limitava a intrattenere i passanti per pochi spiccioli con spettacolini e filastrocche. Non era pazzo e non pretendeva di guidare i ciechi. Nostalgia canaglia.